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Svelato il mistero della tomba, sepolta la famiglia Pellicano

La chiesa dedicata a San Zenone, ora centro culturale, dove sono state scoperte le sepolture DIENNE FOTO
La chiesa dedicata a San Zenone, ora centro culturale, dove sono state scoperte le sepolture DIENNE FOTO
La chiesa dedicata a San Zenone, ora centro culturale, dove sono state scoperte le sepolture DIENNE FOTO
La chiesa dedicata a San Zenone, ora centro culturale, dove sono state scoperte le sepolture DIENNE FOTO

Lo storico Daniele Corezzola ha rivelato il mistero che avvolgeva una delle due tombe scoperte durante i lavori, avviati a fine 2014, per togliere dal degrado la trecentesca ex chiesa parrocchiale di San Zenone, patrono del paese. Le sepolture, che spuntarono rimuovendo le lastre in pietra della navata posate a metà Ottocento, erano di pietra in linea con le mattonelle sottostanti in cotto policromo posate sulla nuda terra, probabilmente il primo lastricato dell’edificio, sconsacrato dalla Curia e comprato dal Comune che l’ha trasformato in centro culturale. Ma, mentre una delle due pietre tombali, la più elaborata a ridosso dell’ex presbiterio, non dava dubbi sull’identità della persona sepolta, don Giacomo Piovenzani, rettore di Palù tra il 1553 e il 1557, l’altra pietra, dalla superficie meno elaborata, recante simboli mortuari, portava il nome di battesimo della donna inumata nel Settecento, Olivia, moglie di Domenico Pellicano, cognome totalmente sconosciuto ai paludani, nonostante tra il ’600 e il ’700 abbiano vissuto più famiglie Pellicano a Palù. In paese, la notizia del ritrovamento sollevò molte curiosità. Principalmente su che tipo di ruolo i Pellicano potessero aver svolto quasi due secoli fa in zona e per le dimensioni della tomba, le quali diedero adito all’ipotesi che potesse contenere più salme. Ricerche condotte dal sindaco allora in carica, Francesco Farina, avvalorarono la tesi che la famiglia Pellicano fosse di stirpe nobile e originaria del Sud e che il sepolcro, ubicato in chiesa, rappresentasse il riconoscimento di atti compiuti a vantaggio della comunità. In seguito alla scoperta i lavori di restauro dell’ex chiesa subirono rallentamenti imposti dalle ricerche svolte dalla Soprintendenza. Intanto si tennero le elezioni e cambiò la maggioranza. La nuova amministrazione ritenne di non aprire le tombe e così sveltire i lavori di ristrutturazione dell’edificio sconsacrato e così risparmiare sulle spese necessarie alle analisi necroscopiche sui resti umani. La matassa è stata sbrogliata ora, appunto, grazie a Corezzola, appassionato cacciatore di dati in archivi di Stato, parrocchiali e catastali. Le ricerche compiute dall’autore di più pubblicazioni sul passato remoto di Palù, hanno appurato che i Pellicano non erano proprietari terrieri, bensì amministratori di nobili famiglie. E che la grande tomba all’ex chiesa parrocchiale conserva i resti di addirittura una dozzina di persone, morte tra il 1745 e il 1795. La prima ad essere sepolta fu Olivia, di cognome Perotti, l’ultima un’altra donna sua parente, Apollonia Perotti, figlia di Helena Pellicano e Giobatta Perotti. Nel mezzo, bambini morti a pochi giorni o mesi di vita. Giovanna scomparve a soli 11 anni. Capitolo a parte merita Giuseppe, deceduto a causa di un incidente non meglio precisato e sepolto in chiesa su licenza del Maleficio veronese, com’era chiamata la magistratura di quei tempi. Corezzola aggiunge che la famiglia Pellicano svolse compiti importanti a Palù dal 1677. Domenico, il marito di Olivia, ricoprì la carica di massaro, amministratore ed economo del patrimonio delle confraternite religiose del Santissimo Rosario e del Santissimo Corpo di Cristo. Le confraternite erano associazioni che esercitavano opere di carità e beneficenza per compensare carenze della collettività. Sulla pietra tombale, fino pochi giorni fa circondata da mistero, Agostino Pellicano, agente della nobile famiglia Maffei e padre di Domenico, fece scrivere parole lusinghiere per la nuora Olivia: l’equivalente di donna incomparabile e cara moglie del figlio. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Taddei

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