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Studente trova la tela e il vero autore

Amos Mettifogo vicino al dipinto di Apollodoro conservato nel museo di Wiesbaden
Amos Mettifogo vicino al dipinto di Apollodoro conservato nel museo di Wiesbaden
Amos Mettifogo vicino al dipinto di Apollodoro conservato nel museo di Wiesbaden
Amos Mettifogo vicino al dipinto di Apollodoro conservato nel museo di Wiesbaden

Il colpo d’occhio che cambia la storia. L’occhio acuto è quello di Amos Mettifogo, ventiduenne sambonifacese, neo dottore in Beni culturali, che prima ritrova in Germania un’opera d’arte che si riteneva dispersa, poi si butta a capofitto nella ricostruzione di come ci sia finita e accerta infine che al museo Wiesbaden, nella omonima capitale dell’Assia, quel quadro è stato addirittura attribuito ad un autore sbagliato. Amos ride quando lo definisci lo «007 del patrimonio artistico», ma senza la sua determinazione probabilmente quest’opera sarebbe rimasta sconosciuta alla storia dell’arte nella sua autenticità. «La scorsa primavera ero in Germania per l’Erasmus e per ricerche al museo Wiesbaden, sui 16 dipinti italiani lì conservati che erano il mio argomento di tesi. Tra questi, c’è anche il Giovanni de Lazara col nipote Nicolò, opera che al Wiesbaden risulta attribuita al pittore vicentino Giovanni Antonio Fasolo». Amos inizia le sue ricerche ma tra le opere note di Fasolo, di questa non c’è traccia. Approfondisce e grazie alla sua caparbietà incappa in un articolo del 2016 nel quale lo storico dell’arte Vincenzo Mancini riproduce una foto d’epoca del quadro, parlandone come di un’opera di Francesco Apollodoro, fin dal 1911 erroneamente attribuita a Fasolo e di fatto dispersa. «Ce l’avevo lì davanti, altro che», racconta Mettifogo che in un colpo solo ha chiara la situazione. Quello di cui si fa carico lui, a questo punto, è far luce sul secolo di buio (i 109 anni passati dal 1911 al 2020) nella storia di quel quadro. Per Amos, che attualmente vive a Venezia, impegnato negli studi della laurea magistrale a Ca’ Foscari, quella storia tutta da accertare e da scrivere diventa un imperativo. «Quella tela era stata commissionata dalla famiglia padovana dei De Lazara a Francesco Apollodoro, pittore della città noto anche come il Porcia. Dovremmo essere attorno al 1565», spiega Mettifogo. La tela rimane in famiglia per 50 anni e le tracce ricompaiono nel 1911, anno della mostra «Il ritratto italiano da Caravaggio al Tiepolo». La mostra, ospitata a Palazzo Vecchio, a Firenze, accoglie l’opera attribuendola però a Fasolo. Cosa è successo successivamente lo ha scoperto Amos: «Quel quadro era piaciuto anche ad Adolf Hitler che, nel 1941, lo acquistò da Andrea di Robilant con 300 mila lire. Lo voleva inserire nella collezione che avrebbe arricchito il museo, a lui stesso intitolato, da realizzare a Linz». Del museo del Führer non se ne fece nulla e il quadro saltò fuori quando gli americani, a guerra finita, recuperarono i beni messi da parte da Hitler. «Il quadro viene semplicemente inventariato e nel 1949 le opere vengono trasferite al Presidente della Baviera ed il quadro viene attribuito a Paolo Veronese», racconta Mettifogo. Non è ancora finita, «perché dopo l’inventario del 1967, viene indicato come autore il veneziano Leandro Bassano ma siccome sul retro della tela ancora si legge il numero di catalogazione assegnato all’opera per l’allestimento fiorentino del 1911, quando qualche anno fa la tela viene messa in mostra al Wiesbaden, si torna ad attribuirla a Fasolo». Da aggiornare, ora, c’è la storia dell’arte ma anche l’attribuzione al Wiesbaden: «Mi piacerebbe esserci», la butta lì lo studente, anche se il suo pensiero ora sono gli esami. E da grande? «Piano B, insegnamento, piano A il lavoro nei musei ma per far ricerca. L’ha dimostrato questa esperienza che facoltà come la mia sono quanto mai moderne ed attuali: una rivincita!». •

Paola Dalli Cani

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