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La storia

Sopravvissuto a due valanghe. Otto anni dopo salvo dopo lo stesso incubo

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Il salvataggio nella neve, dopo la valanga
Il salvataggio nella neve, dopo la valanga
Il salvataggio nella neve, dopo la valanga
Il salvataggio nella neve, dopo la valanga

«Siamo vivi per miracolo ma poteva davvero finire in tragedia». Patrizio Viviani, pensionato sessantunenne di Soave, appassionato della montagna e di scialpinismo, rivive i terribili attimi in cui, all'improvviso, assieme ad un gruppo di amici, si è ritrovato travolto da una valanga mentre si trovava in montagna in Turchia. Viviani è un autentico miracolato visto che già otto anni fa era stato travolto da un'altra enorme slavina, sull'Adamello, uscendone, incredibilmente vivo dopo un salto di alcune centinaia di metri.

 

Comitiva

La comitiva presente in Turchia, formata da undici italiani guidati da Mario Vielmo, guida alpina, e due accompagnatori turchi, si trovava sul monte Baset, a 3.600 metri di altitudine, in Anatolia, nella regione del lago di Van, ad una sessantina di chilometri dal confine con l'Iran. Era la prima uscita di quel viaggio di piacere per assaporare quei paesaggi montani incontaminati. All'improvviso, mentre uno dei componenti stava sciando tagliando da una parte all'altra un canalone, si è staccata una valanga. «In quell'istante, mentre stavo scattando foto e girando un video», racconta Viviani, «ho sentito mia moglie Franca gridare all'impazzata. Ho sentito un boato fortissimo, ho alzato gli occhi e ho fatto appena in tempo a vedere un'enorme onda di neve che ci ha travolto in un secondo. Il terreno mi è scivolato sotto i piedi. Sono stato subito fagocitato in un'enorme centrifuga: sembrava di essere all'interno di una lavatrice», ricorda ancora provato lo scialpinista di Soave. «Ho cercato di galleggiare tra il ghiaccio e la neve. Uno sci si era staccato, mentre l'altro mi era rimasto ancorato al piede, limitandomi nei movimenti. Il momento peggiore è stato quando la valanga si è fermata. Ho sentito la neve che ha iniziato a comprimermi fino a murarmi vivo, non riuscivo a muovermi. In quell'istante ho pensato a mia moglie là fuori da qualche parte, ai miei cari a casa. Pensavo di non farcela. Prima che la valanga si fermasse, non so come, sono riuscito però ad estendere il mio corpo per tentare di fuoriuscire con tutte le mie forze da quell'enorme ammasso di neve. Questo movimento probabilmente mi ha salvato la vita».

 

Respirare

«Infatti mi sono ritrovato con la testa e un braccio appena fuori dalla neve. Riuscivo a respirare anche se non potevo muovermi. Ho iniziato a scavare con la mano libera. Poi ho sentito delle voci e ho iniziato a urlare. Volevo sapere di mia moglie. Ero terrorizzato. Temevo fosse morta. Non mi sarei mai dato pace per questo. Dopo 25 minuti sono riusciti a liberarmi e per fortuna ho visto tutti i miei amici sani e salvi. Quando ho visto Franca sono corso da lei dandole l'abbraccio e il bacio più bello della mia vita». La valanga ha investito sei persone del gruppo, di cui quattro sono state letteralmente travolte e spazzate via. Viviani se l'è cavata con un dito semi congelato. Nulla a confronto delle emorragie interne e i nove giorni di ospedale a seguito del pauroso volo di oltre trecento metri in Val di Breguzzo, in Trentino, sul gruppo dell'Adamello, nel 2014, a causa sempre di una valanga.

Nel terribile episodio in Turchia, invece, ad avere la peggio è stata Paola Favero, alpinista, scrittrice, 61 anni, cinquanta di scialpinismo, già comandante dei Carabinieri Forestali di Vittorio Veneto, salvata in extremis da Vielmo, grazie anche all'Arva, apparecchio elettronico per la ricerca dei travolti nelle valanghe, che ha individuato dopo pochi minuti la donna sepolta da oltre un metro di neve ma ormai cianotica e quasi in fin di vita. Un salvataggio davvero miracoloso. Ripensando a quanto accaduto, però, Viviani recita un «mea culpa» generale. «Premetto che in Turchia, in quell'area dove ci trovavamo, mancano completamente le informazioni base come un bollettino valanghe, le condizioni meteo dei giorni precedenti, l'intensità dei venti e altri dati fondamentali. Tuttavia siamo stati imprudenti», ammette lo scialpinista veronese.

 

Viaggio

«Era la prima uscita del viaggio: eravamo euforici per i paesaggi e la splendida neve. Non abbiamo monitorato la stratigrafia della neve sul pendio. Salendo abbiamo visto accumuli di neve che avrebbero dovuto farci riflettere. Il pendio è stato sovraccaricato con il passaggio di sette sciatori e tagliato da uno di loro».

«Anch'io stesso ho commesso alcune leggerezze, abbassando per un attimo la guardia, rimanendo per esempio sul fondo del canalone, non mettendomi in sicurezza. Abbiamo sbagliato. La montagna stavolta è stata benevola con noi, dandoci una grandissima lezione che ci servirà come una assai preziosa esperienza di vita. Un immenso grazie va a Mario Vielmo, che ha salvato Paola e liberato altre persone intrappolate nella neve, alle guide che hanno chiamato i soccorsi, all'esercito turco intervenuto per salvarci, a tutto il gruppo di chi non è stato travolto che con sangue freddo e sapienza ha aiutato i compagni e all'ambasciatore che si è interessato del nostro caso chiamandoci per sincerarsi delle nostre condizioni. Un'esperienza che non dimenticherò mai». 

Emanuele Zanini

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