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Intervento del vescovo sul nostro giornale

Pfas, Zenti durissimo: «Vicenda allucinante. Come una pandemia senza rimedio»

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Il vescovo mons. Giuseppe Zenti
Il vescovo mons. Giuseppe Zenti
Il vescovo mons. Giuseppe Zenti
Il vescovo mons. Giuseppe Zenti

L’inquinamento dei fiumi e il caso Pfas sono stati ieri al centro dell’intervento domenicale su «L'Arena» del vescovo di Verona Giuseppe Zenti, intervento che definire sostenuto appare solo un eufemismo. Nel consueto fondo scritto per il giornale il presule non ha usato mezzi termini nel condannare le contaminazioni ambientali, parlando a nome delle persone che ne subiscono le conseguenze.

Monsignor Zenti, riferendosi al gravissimo e vastissimo inquinamento che interessa l’area posta a cavallo delle province di Verona, Vicenza e Padova dovuto alle sostanze chimiche perfluoro-alchiliche ormai tristemente note come Pfas, ha parlato di «caso inquietante». «Ritengo mio dovere, come vescovo di Verona, di farmi voce delle vittime che fanno parte della mia giurisdizione pastorale, nel lato orientale, unitamente, come è ovvio, al mio collega vescovo di Vicenza, per le persone che risiedono nel suo territorio di competenza», ha scritto. Indirettamente ricordando, così, che una parte del territorio colpito dalla contaminazione, il Colognese, è dal punto di vista religioso ricompreso nella diocesi berica.

«Solo ad ascoltare le persone interessate, specialmente i genitori, vengono i brividi. Si resta sconvolti. La questione non si restringe ai danni economici causati dalla chiusura forzata dell’industria (l’azienda chimica che sarebbe all’origine dell’inquinamento, Miteni di Trissino, Vicenza, ndr). Ben altri danni si aggiungono. Infinitamente più pesanti. Probabilmente irreversibili. Almeno allo stato attuale delle cose». Queste le parole, già di per sé eloquenti, con cui Zenti ha introdotto l’argomento.

«Le acque reflue di tale industria sono penetrate nel terreno; sono state usate per troppi anni per l’irrigazione, inquinando i prodotti di vasti territori; sono penetrate nelle falde acquifere; sono entrate nelle case come acqua di uso corrente. Attraverso l’assunzione di prodotti agricoli inquinati e, soprattutto, di acqua di uso corrente, le sostanze velenose sono entrate nelle vene e si sono immesse nel circuito del sangue! Allucinante!».

Oltre a ripercorre la vicenda, il vescovo ha lanciato dei pesanti j’accuse. A suo avviso si è creata una sorta di pandemia «senza rimedio, nemmeno vaccinale» ma «a tutt’ora si preferisce tenere il tutto un po’ velato, per non creare allarmismo e panico». Un guaio ancora maggiore se solo si pensa che «si preferisce non scoperchiare la pentola», sono state le sue parole. «Ecco perché si alternano le fasi di ripresa delle inchieste, con quelle della criptazione ma il bubbone esiste e si ingigantisce; c’è di mezzo l’oggi e il domani di tutte le numerose famiglie che per troppo lungo tempo sono state vittime di imperdonabile superficialità e di noncuranza». Il vescovo si chiede se ci si deve schierare dalla parte dell’economia, «che per il progresso sacrifica la vita dell’uomo, fino a minacciarne la sopravvivenza a livello planetario», o dalla parte dell’uomo, «a costo di limitare gli alti e spropositati profitti di pochi e il benessere per una certa percentuale di umanità, sprofondando il resto nella miseria». Una domanda alla quale, evidentemente alla luce anche del tanto discusso caso Pfas, monsignor Zenti ha risposto senza dubbi, affermando che l’ambiente «è patrimonio di tutta l’umanità e non possesso privato di pochi avvoltoi».

Luca Fiorin

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