L’ultimo colpo di martello lo aveva dato tre anni fa, prima dell’incidente in auto che poi condizionò pesantemente il suo recupero e sfibrò anche la sua forte resistenza. Se ne è andato Mario Bonamini, 79 anni, maestro del ferro battuto di Cogollo, fucina che, sulle orme di Berto Da Ronco, ha dato vita a una tradizione che ancora resiste. Negli ultimi anni, ospite della casa di riposo di Illasi, guardava con soddisfazione alla passione e ai lavori del figlio Marco: sapeva di aver lasciato in buone mani la sua bottega e i segreti di un’arte che non sarebbe stato giusto far morire con sé. Era nato il 6 luglio 1940 da Aristide e Amabile, sesto di sette fratelli e all’età di dodici anni aveva iniziato la sua esperienza lavorativa da Berto da Cogollo, personaggio che tutti gli artisti e artigiani del paese considerano il proprio maestro. Nel 1965 Mario con i propri risparmi iniziò a comperarsi i primi attrezzi di lavoro per realizzare qualche oggetto e poi con il fratello Gino avviò Fucinarte, un’officina che subito si distinse per l’eccellenza e la qualità della lavorazione di letti, lampadari, ringhiere, arredamento per la casa, ma anche qualche lavoro di scultura. Sono di questo periodo i Crocifissi dell’ospedale di Tregnago, dell’Opera assistenziale dei Camilliani di Predappio, dell’Opera don Provolo di Chievo, e diversi monumenti ai Caduti come quello di Sommacampagna, di Centro e di Tregnago per i caduti in Russia. Il suo nome è apparso in mostre collettive e personali. Nel 1981 vince a Stia, in provincia di Arezzo, il primo premio di forgiatura estemporanea per aver dimostrato nell'esecuzione della sua opera una singolare capacità personale e un alto valore artistico. Nel 1995 divide la sua attività da quella del fratello Gino e comincia il lavoro con il figlio Marco. L’opera principale di questa seconda fase è il grande candelabro a forma di olivo, alto due metri, con ben seicento foglioline battute ad una ad una come le centoventi olive che ne adornano i tre rami principal,i simbolo delle tre religioni monoteiste e ai piedi una vita con i grappoli e delle spighe mature, simbolo dei segni sacramentali del pane e del vino eucaristico. L’opera commissionato da don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele di Milano, fu benedetta a Roma da papa Giovanni Paolo II e collocata nel Cenacolo di Gerusalemme, dov’è tuttora. Altri candelabri a forma di olivo furono da lui realizzati per la Basilica di Santa Chiara ad Assisi e sullo stesso stile anche un altare per le monache clarisse di Napoli. Sono importanti anche altri lavori, come il monumento a don Luigi Zocca, a Sprea di Badia Calavena, una gerla intrecciata con verghe in ferro battuto anziché vimini e con fiori ed erbe medicinali, realizzate con straordinaria maestria. Nella casa di riposo di Tregnago è stato collocato all’ingresso nel 2006 il busto del commendatore Fermo Sisto Zerbato, fondatore e benefattore dell’opera, realizzato a tutto tondo con la tecnica dello sbalzo. La sua fama ha varcato anche l’Oceano, negli Stati Uniti, con la realizzazione a New York, assieme al figlio Marco, di un'importante opera di arredo interno nella villa di un noto chirurgo americano. «Siamo stati insieme a montarla nel 2012», racconta Marco, «e devo a mio padre la passione per questo lavoro che non riguarda solo il ferro, ma anche l’ottone e il rame. Per me», conclude il figlio, «è stato un maestro su tante cose, non solo in officina; un maestro di vita di cui mi onoro di proseguire adesso il cammino». •