<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La tragedia in Congo

Un missionario veronese ha incontrato Attanasio il giorno prima dell'agguato: «Una persona di cuore, fuori dal comune»

Luca Attanasio nella missione dei saveriani
Luca Attanasio nella missione dei saveriani
L'incontro con l'ambasciatore Luca Attanasio

L'ultimo dono dell'ambasciatore Luca Attanasio ai bambini: la riapertura per la sola Italia, unico Paese europeo, del canale per le adozioni internazionali dei bambini congolesi che era chiuso dal 2013. È con una gioia che sfiorava la commozione che sabato pomeriggio a Bukavu, poco meno di 200 chilometri a Sud dell'aeroporto internazionale di Goma, nella Repubblica democratica del Congo, l'ambasciatore italiano arrivato venerdì mattina nel Paese africano, aveva salutato la comunità dei missionari saveriani a cui era tornato a far visita.

Tra loro anche padre Gianni Magnaguagno, missionario saveriano originario di Terrossa di Roncà, tra i primi ad apprendere la notizia del tragico agguato che lunedì mattina, sulla strada per Rutshuru, è costato la vita al giovane diplomatico italiano, al carabiniere Vittorio Iacovacci che era la sua scorta ma anche a Mustapha Milambo, operatore del World food programme (Wfp) dell'Onu che era alla guida.

«Li avevamo salutati domenica mattina quando, dopo la messa delle 8, erano ripartiti alla volta di Goma. Erano rimasti con noi dal sabato pomeriggio». Padre Gianni è missionario nell'ex Zaire, centr'Africa, dal 1983: « Attanasio era venuto varie volte, anche con la moglie Zakia Seddiki: ci davamo del tu, si era molto affezionato», esordisce padre Gianni.

«In passato ci aveva già aiutato procurando un finanziamento che ci aveva permesso di sostenere una cooperativa agricola per la costruzione di una latteria in montagna». Sarebbe dovuto arrivare da solo ma, come lui stesso aveva raccontato ai saveriani che aveva incontrato, aveva chiesto a Vittorio Iacovacci, il carabiniere che era la sua scorta, di accompagnarlo «per fargli scoprire il mondo del Congo dell'Est». Bukavu, infatti, è una località dell'estremo oriente congolese, ad un passo dal confine ruandese, sulle sponde dell'immenso lago Kivu. Attanasio era uno dei componenti di una missione del programma alimentare mondiale (Pam), come gli italiani del Congo chiamano il World food programme, ed i missionari avevano organizzato un incontro nel grande salone della casa madre dei saveriani che sorge dove i missionari di San Guido Maria Conforti nell'ottobre del 1958.

Su un fronte l'ambasciatore Attanasio si era sempre dimostrato estremamente attento, sensibile e attivo cioè la tutela dei bambini: «Tra le tante cose di cui abbiamo parlato c'era anche un progetto a favore dei bambini malnutriti per il quale abbiamo chiesto ulteriori aiuti al Pam», racconta il missionario veronese. Un impegno portato avanti col cuore e col sorriso, quello dell'ambasciatore, condiviso completamente dalla giovane moglie: «Zakia è impegnata nell'associazione Mamma Sofia, un'organizzazione che si occupa di assistenza e recupero dei ragazzi e dei bambini. Grazie a questa organizzazione hanno creato una rete di distribuzione notturna di cibo ai più bisognosi». Luca e Zakia, che coppia: «Si stavano dando da fare a sostegno dei bambini di strada. Persone eccezionali, molto buone, alla mano: per la moglie e le sue piccolissime bambine aveva un amore enorme». Avevano parlato anche di altro sabato prima di chiudere la giornata attorno allo stesso tavolo, in fraternità, cenando insieme.

«Era al settimo cielo perché, come si aveva raccontato, era riuscito finalmente ad avere dal Governo congolese il nulla osta per l'adozione dei bambini. Grazie al suo lavoro diplomatico l'Italia ora si avvia, unico Paese europeo, a riaprire le adozioni internazionali», racconta padre Magnaguagno. Non solo perché nel corso della visita di sabato «si era preso a cuore la nostra richiesta di far arrivare a Goma un console per evitare di dover raggiungere la capitale Kinshasa, che dista da qui 2000 chilometri», racconta padre Gianni. Il pensiero corre poi a domenica mattina, alla messa a cui l'ambasciatore e la sua scorta non avevano voluto mancare, e alla successiva partenza, «ad un arriverderci pieno dell'entusiasmo che segue le promesse». Poi la notizia: tragica, sconvolgente ma inattesa sino ad un certo punto: «Su quella strada i sequestri sono all'ordine del giorno: lo sappiamo tutti ed ero perplesso quando mi aveva detto che destinazione avrebbe preso. Non ho osato dirgli nulla, confidando nei mezzi delle Nazioni Unite. Siamo piombati in una tristezza infinita pensando a Zakia e alle tre bimbe». Increduli, sgomenti, i sacerdoti italiani si sono subito preoccupati di raggiungere Goma per rendere omaggio all'ambasciatore e alla sua scorta. Impossibile la trasferta per padre Gianni a causa di un infortunio ad una gamba ma i suoi confratelli lo hanno portato nel cuore, ieri pomeriggio, salutando i feretri prima che fossero caricati sul Boeing KC-767A che li ha riportati in patria.

 

 

 

IL RICORDO

Un uomo semplice, «che non amava i palcoscenici né le grandi mobilitazioni connesse al suo ruolo. Forse anche per questo Luca non c'è più».

Padre Gianni Magnaguagno la pensa così ma dalla testa non si toglie nemmeno la convinzione che se per evitare il rapimento della delegazione Onu non fossero intervenute le guardie del parco del Virunga «Luca e Vittorio sarebbero ancora vivi. Prigionieri ma vivi e solo in attesa del pagamento del loro riscatto da parte dell'Italia». La voce del sacerdote sessantaquattrenne si rompe in un singhiozzo ricordando l’ambasciatore Attanasio, amico vero: «Una persona di cuore, un uomo fuori dal comune, squisito, fortemente animato dal desiderio di poter dare il suo contributo allo sviluppo di questo Paese ostaggio di una miseria mostruosa che le restrizioni imposte dal Covid-19, pandemia che pure a Bukavu avrà fatto 50 vittime mentre la stragrande maggioranza l'ha superata senza alcun sintomi, hanno aumentato a dismisura».

«Lo avevo conosciuto nel 2016- ricorda- : ci fu una sua visita poco dopo il mio trasferimento a Bukavu, come economo, ed entrammo subito in sintonia. Da allora c'è stato un rapporto strettissimo», racconta padre Gianni, «uno di quelli in cui se anche mandi un messaggio a ora tardissima, pensando che il destinatario possa vederlo comodamente l'indomani, ottieni una risposta istantanea». Padre Gianni il Congo lo conosce benissimo: grazie anche al sostegno dei suoi compaesani ha fatto venir su una scuola a Kinshasa, poi è stato parroco per anni della parrocchia di San Bernardo (a 9 chilometri dalla capitale). Quest'anno taglia il traguardo dei 40 anni di ordinazione sacerdotale.

«Dio prende sempre i migliori», dice a più riprese, senza riuscire a darsi pace, intervallando i ricordi, «una persona sensibile, gioiosa, semplice: una perla rara proiettata solo sul bisogno degli altri. Che si trattasse di malnutrizione, di bambini di strada, di ragazzine sfruttate per la prostituzione o di quelle emarginate come ragazze-stregone lui c'era e c'era anche a fianco della straordinaria opera della moglie». «Avevamo parlato anche di questo sabato perché l'infanzia e la gioventù sono sempre stati temi su cui si è speso moltissimo accanto a quelli della sanità e l'agricoltura. Praticamente», racconta padre Magnaguagno, «ogni volta che tornava in Congo era ospite nostro, e noi ci occupavamo di accoglierlo, ospitarlo, accompagnarlo: amava moltissimo questa terra e non perdeva occasione per spostarsi a salutare le comunità italiane che qui si impegnano». Era accaduto anche domenica pomeriggio, dopo che la delegazione (composta anche dal rappresentante del Pam Leone Rocco e dal console Alfredo Lorusso), raggiunta Goma, aveva incontrato la comunità italiana della città. Poi i mezzi si erano rimessi in movimento verso Nord: pernottamento a Rutshuru (a 60 chilometri da Goma), l'indomani di nuovo su quell'auto che solo dieci chilometri più avanti verrà fermata da un commando che fredderà l'autista, porterà via ostaggi e poi, almeno questa è l'ultima versione fornita dalle autorità congolesi, colpirà a morte un diplomatico di 43 anni papà di tre bimbe ed un carabiniere di 30 anni ad un passo dalle nozze.

 

Congo, Di Maio: "Straziante accogliere le salme dei nostri connazionali, vittime di un vile agguato"

 

«L’unica speranza adesso è che questo omicidio, che il sacrificio dell’ambasciatore Attanasio sia un sacrificio redentore e serva per accendere una luce su quello che sta accadendo in Congo». Padre Gianni Brentegani, saveriano di Rivoltella-Desenzano, diocesi di Verona, da 25 anni lavora nella Repubblica democratica del Congo.

«Sabato scorso l’ambasciatore Attanasio era da noi nella nostra casa regionale a Bukavu, come hanno raccontato i miei confratelli, e anche l’anno precedente era venuto a trovarci, perché l’ambasciatore, di formazione cattolica, era molto attivo a livello umanitario sosteneva molti progetti soprattutto per lo sviluppo, per i bambini, per le umanità fragili ed era molto attento agli italiani impegnati nelle missioni e nel volontariato. per noi era come un fratello, molto alla mano».

 

Una semplicità che traspare anche dalle sue modalità di spostarsi in territori pericolosi no? Pare avesse chiesto un’auto blindata, più protezione. Vi risulta?

Forse questa semplicità lo ha condannato a morte. Quella strada dove è stato ucciso non è una strada sicura o normale, è una delle strade più omicide dell’Africa e stupiscono le prese di posizione del nostro ministero degli Esteri quando sostiene di non essere stato informato del viaggio e non aver potuto dare copertura necessaria. Invece da quanto ci dice il Programma alimentare mondiale, Attanasio li aveva avvertiti, ma c’è il solito rimpallo di responsabilità.

La realtà dei fatti però è che non viaggiava scortato, bensì come un semplice volontario e non come un diplomatico che rappresentava lo Stato. E quella è una zona infestata di bande terroriste e mercenarie...

Non so se gli assalitori fossero dei mercenari, ma tutta la zona dell’est, compresa tra Goma, Beni, Butembo e il limite che confina con il Ruanda e l’Uganda è un triangolo esplosivo: qui sono stati censiti 122 gruppi armati, nazionali e internazionali, che dipendono dal Ruanda o dall’Uganda. Sembra che le bande lì trovino rifugio e sostentamento, poi vanno a sostenersi con i proventi delle miniere e delle materie prime del Congo. C’è da sperare che il sacrificio dell’ambasciatore possa portare un po’ di luce in questa zona che è molto abbandonata.

Come mai queste scorribande continuano impunemente? In Congo c’è la forza di pace dell’Onu, la Monusco, si tratta di 17 mila militari più l’esercito congolese eppure non riescono ad arginare e mettere fuori gioco questi guerriglieri. Voi che conoscete la zona, pensate fosse un agguato per un rapimento con riscatto?

Forse i guerriglieri non sapevano che c’era l’ambasciatore: hanno visto un bianco e sanno che se lo prendono possono avere un riscatto, perché per loro il primo obiettivo è rifornirsi di soldi per continuare nelle proprie azioni.

Ma chi ha il vantaggio di mantenere queste zone così insicure e violente?

Le ong l’anno scorso hanno censito più di 2mila civili uccisi in questo triangolo maledetto.

 

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Dalli Cani e Maurizio Battista

Suggerimenti