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Lo stupore di Silvia Tosi per i 100 anni «Ho solo lavorato tanto fin da giovane»

Silvia Tosi, 100 anni a Ferragosto, con gli alpini e un mazzo di fiori per la sua festa
Silvia Tosi, 100 anni a Ferragosto, con gli alpini e un mazzo di fiori per la sua festa
Silvia Tosi, 100 anni a Ferragosto, con gli alpini e un mazzo di fiori per la sua festa
Silvia Tosi, 100 anni a Ferragosto, con gli alpini e un mazzo di fiori per la sua festa

È arrivata camminando da sola, scendendo dall’auto che l’aveva portata a messa al santuario di San Colombano, com’è tradizione ogni Ferragosto, ma il 15 per Silvia Tosi era anche il giorno del suo centesimo compleanno e il gruppo Alpini di Illasi l’ha voluta festeggiare in baita, anche in ricordo del fratello Aldo che fu tra i fondatori della sede di piazza Libertà. Ad accoglierla, con il capogruppo Roberto Viviani e l’intero direttivo, anche la madrina Donata Carlotti, il sindaco Paolo Tertulli e la consigliera Maria Pia Garavaglia. Già alla messa, il primo cittadino aveva consegnato alla signora Silvia una pergamena, a nome della comunità illasiana, «riconoscente per la testimonianza dei valori, del sacrificio e dell’operosità indirizzati ad accrescere il bene comune». Lei si è dimostrata sorpresa e felice, degli auguri, della torta, del brindisi e dell’affetto dimostrato dagli alpini e da tanti compaesani e poi si è chiesta «perché tanta festa». Cent’anni non è una traguardo da tutti e portati così bene sono anche rarissimi, le abbiamo spiegato, cercando di carpirle il segreto di una longevità così vivace: Silvia vive infatti da sola, segue tutte le faccende domestiche, si fa da mangiare e va anche a trovare amiche e parenti in paese. «Nessun segreto. Ho lavorato tanto fin da giovane», ha confidato. È stata compagna di classe di un altro illustre illasiano, don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele di Milano: «Eravamo anche compagni di banco, perché eravamo spaiati tra maschi e femmine e la maestra Eugenia Chiamenti ci ha messi davanti a lei nello stesso banco», ha raccontato del piccolo compagno che poi proseguì gli studi in seminario e diventò il prete manager più famoso della sanità italiana. Lei invece si è dedicata da subito alla cura del nonno infermo, mentre le sue due sorelle maggiori, Ottavia e Maria, frequentavano una bottega di sartoria. «Da loro ho imparato il mestiere e sono rimasta sempre in casa a fare la sarta», ha raccontato Silvia, che non si è mai sposata. «Non erano tempi facili, neanche per trovar marito, con la guerra che si era portata via i giovani e a noi a casa costrette a vivere con la paura». Ha ricordato quando fu chiamata ad aiutare due cugine che gestivano un bar sul corso perché i militari tedeschi avevano requisito il locale e ordinato una gran cena. «Si sono ubriacati tutti e noi siamo state chiuse in cucina terrorizzate finché non è arrivato il comandante della piazza di Illasi che li ha cacciati fuori dal locale a calci nel sedere, con il ricognitore Pippo che mitragliava la strada». Quella delle sorelle Tosi era una sartoria specializzata in arredi per la nobiltà e la chiesa. Dalle loro mani sono uscite tovaglie, copriletti, tendaggi, paramenti sacri ricamati con i filati più preziosi. Tantissime le opere eseguite anche fuori provincia, perfino per nobili veneziani e lombardi. Un lavoro sul quale ha lasciato un po’ di cuore? «Penso alla coperta di raso rosa realizzata per la contessa Bernini di Lazise, a cui mio fratello Aldo aveva costruito il letto in legno massiccio e intagliato, un’opera davvero notevole da realizzare, anche per quegli anni», ha aggiunto. Ha mangiato di gusto la sua fetta di torta, bevendo l’intero calice di spumante offerto dagli alpini ma non si è lasciata sfuggire cosa l’abbia portata a cent’anni in simile invidiabile forma. «Lo rivelo io», ha detto alla fine il geriatra Marco Trabucchi, che è anche amico intimo di famiglia di Silvia: «Continuare a lavorare coltivando interesse; fare del sano pettegolezzo, tenendosi sempre aggiornata sulle vicende del paese; mangiare bene e dare senso alla propria vita con una forte senso di fede e attaccamento alla propria comunità». •

V.Z.

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