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San Mauro di Saline

Leonardo Alberti:«Qui, al Bellavista non si controlla il Green pass»

Il ristoratore è favorevole alla prevenzione ma non gli va giù l’obbligo del certificato per entrare
Leonardo Alberti nella cucina del Bellavista a San mauro di Saline
Leonardo Alberti nella cucina del Bellavista a San mauro di Saline
Leonardo Alberti nella cucina del Bellavista a San mauro di Saline
Leonardo Alberti nella cucina del Bellavista a San mauro di Saline

«Se arriva una compagnia di dieci persone e due non hanno il Green pass, cosa faccio? E una famiglia che ha due figli giovani e non vaccinati? Li lascio fuori? Io sono favorevole alla prevenzione ma faccio lo chef, non il controllore».

 


Leonardo Alberti non ci sta. Il decreto che impone l’obbligo di certificazione verde per entrare nei locali e consumare al tavolo non gli va giù. Così, fuori dal suo ristorante, lo storico Bellavista di San Mauro di Saline, ha messo un cartello: «Qui non chiediamo il Green pass per entrare», si legge, «Ce l’hai? Bene. Non ce l’hai? Va bene uguale. Noi vogliamo solo fare il nostro lavoro, che non è quello di fare i controllori», riportando poi l’hashtag dell’iniziativa #ilPassNonPassa che nelle ultime ore è diventata virale con migliaia di condivisioni in tutta Italia, soprattutto da parte di attività della ristorazione.

A proteste del genere Alberti non è nuovo. Nell’ottobre scorso aveva affidato la sua rabbia a un post pubblico su Facebook, visibile quindi anche al di fuori delle sue «amicizie»: «Caro Conte... questa è la mia situazione grazie alla tua intelligenza...40 posti letto e 170 coperti ristorante chiusi a data da destinarsi». Eravamo all’inizio della seconda ondata di pandemia e in quei giorni l’ex premier aveva emanato un dpcm che, per ridurre il rischio di contagio da Covid, stabiliva la chiusura di bar e ristoranti alle 18, distanziamenti e tavoli di massimo quattro persone.

 

A quelle condizioni per Alberti non valeva la pena tenere aperto, aveva spiegato allora. «Poi siamo riusciti a superare l’inverno», racconta, «facendo fronte alle varie limitazioni che ci sono state imposte. Ora speriamo che non si rientri in zona gialla altrimenti tanti miei colleghi non riusciranno più a riaprire. Resta il fatto che questo ampliamento del Green pass anche alle nostre attività è un problema: ancora una volta siamo noi i più penalizzati».
E questa è una critica che si è sollevata da tutta la categoria all’indomani della conferenza stampa del premier Draghi.

 

«Perché per andare in treno, sugli autobus, anche in chiesa non è richiesta la certificazione e invece per entrare nei ristoranti sì?», chiede il ristoratore. «Da mesi», prosegue, «rispettiamo tutte le linee guida, nessuna violazione, nessuno sgarro. I tavoli sono da sei e distanziati, i miei collaboratori sono tutti vaccinati. Da noi il livello di sicurezza è altissimo. Ma non possono ora chiederci di fare anche i controllori. Non posso permettermi una persona fissa all’ingresso che monitori chi ha la certificazione e chi no, creando peraltro code che nemmeno in un parco divertimenti ha. E con che autorità poi, possiamo fare una cosa del genere? Come potremo vietare l’ingresso a chi è sprovvisto?».
 

 

È esasperato Alberti. «Io non posso che sperare nel buon senso di chi entra nel ristorante», spiega, «che lo faccia solo munito di Green pass. E mi auguro che la gente capisca». Anche perché i rischi, in caso di controlli, sono alti. «In caso di violazione può essere elevata una sanzione pecuniaria da 400 a 1000 euro sia a carico dell’esercente sia dell’utente. Qualora la violazione fosse ripetuta per tre volte in tre giorni diversi, l’esercizio potrebbe essere chiuso da 1 a 10 giorni», ha spiegato il Governo in una nota che accompagna il nuovo decreto. 

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Francesca Lorandi

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