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L'allarme del personale della «Sacro Cuore»

Nella casa di riposo: «Situazione esplosiva, non dormiamo più la notte»

La corretta dotazione per gli operatori a contatto con gli ammalatiLa casa di riposo dell’Istituto Sorelle della Misericordia a Mezzane di Sotto
La corretta dotazione per gli operatori a contatto con gli ammalatiLa casa di riposo dell’Istituto Sorelle della Misericordia a Mezzane di Sotto
La corretta dotazione per gli operatori a contatto con gli ammalatiLa casa di riposo dell’Istituto Sorelle della Misericordia a Mezzane di Sotto
La corretta dotazione per gli operatori a contatto con gli ammalatiLa casa di riposo dell’Istituto Sorelle della Misericordia a Mezzane di Sotto

Sono arrivati i tamponi per la ricerca dell’infezione da coronavirus Covid-19 eseguiti venerdì scorso su una parte degli operatori del Centro servizi Sacro Cuore di Mezzane di Sotto.

La casa di riposo è di proprietà dell’Istituto Sorelle della Misericordia e ben dieci operatrici sono risultate positive dall’ultimo tampone.

Il dato è impressionante, anche in considerazione del fatto che fino a martedì pomeriggio, giorno del riscontro, tutte hanno continuato a lavorare nei rispettivi turni e il dato totale parla di 19 operatori positivi su 53 in organico, pur mancando ancora il riscontro su qualche tampone.

 

È un dramma che si affianca a quello degli ospiti anziani della struttura, praticamente tutti contagiati perché dal tampone eseguito su 105 presenti in una parte della struttura (l’altra è gestita dalla cooperativa di ispirazione cattolica Cercate) soltanto cinque sono risultati negativi al tampone dell’8 aprile. Da allora si presume che nessuno sia scampato al contagio. Una ventina sono i morti nell’ultimo mese, ma è difficile ricondurre tutti i decessi al coronavirus.

 

Ma voci di protesta si levano dal versante del personale: «Tutto per la negligenza della direzione», denuncia un gruppo di operatrici. Alcune di loro sono nella struttura da diversi anni: «Non dormo più la notte», racconta una, «mi vedo nei corridori ad affacciarmi alle stanze, a salutare i nonni che conosco e che mi sono tutti amici. Chiudo gli occhi e vedo i loro sguardi, i loro saluti, i loro sorrisi, sento le parole dolci, ma anche le grida, i pianti, le parolacce. Non riesco più a dormire, perché è difficile accettare una ventina di lutti in pochi giorni».

Eppure, secondo la versione di Luigi Turrà, coordinatore sanitario della struttura, le cose sono diverse: «C’è stata il 9 aprile un’ispezione dello Spisal che ha trovato tutto regolare. I positivi ai tamponi sono 63, non posso dire quanti siano gli operatori se non mi autorizza il direttore generale». E sui morti, spiega: «Ce ne sono sempre stati». «Soltanto tre per Covid», assicura. Ma il malumore che serpeggia tra il personale ormai è incontenibile.

 

Tra le operatrici, è accaduto che una di loro sia stata contagiata, ricoverata ed abbia a sua volta contagiato il marito. Ci sono però operatori che fanno questa professione con passione, ma che stanno vivendo grossi disagi.

«Non per gli ospiti e i loro familiari che sono la nostra gioia, ma per questa maniera di intendere il lavoro e il servizio. Alcune di noi sono costrette a lavorare indossando il pannolone per non assentarsi in bagno», denuncia un’altra, «abbiamo toccato il fondo del fondo».

Parlano di tardiva distribuzione dei dispositivi di protezione individuale: guanti, mascherine, camici e cuffie, arrivati solo venerdì scorso, mentre prima le suore avevano provveduto a confezionare mascherine con teli di cotone, assolutamente inadeguate al tipo di lavoro che si svolge all’interno. Diversi operatori denunciano questa negligenza: «Per giorni e settimane si è fatto finta di nulla, minimizzando e magari ridicolizzando chi chiedeva dispositivi adeguati o manifestava timore di contagio. Alcuni operatori, spaventati dalle condizioni di lavoro si sono dimessi, altri sono in malattia in seguito alla positività riscontrata: la struttura ha difficoltà a reperire personale», viene detto.

 

«La situazione appare esplosiva: il contagio era impossibile evitarlo, ma si sarebbe potuto fare molto di più, almeno per contenerlo», è la considerazione di un’operatrice che guarda i carrelli del cibo. E poi commenta: «Entrano nelle stanze pieni ed escono ancora pieni. Non mangia più nessuno e il prossimo passo sarà la morte. Noi operatori siamo sovraesposti: sei, sette ore di servizio sempre con gli stessi indumenti, passando da un letto a un altro, da un contagiato a un altro. Come possiamo pensare di salvarli e salvarci?». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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Vittorio Zambaldo

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