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I «Tre bicchieri»
da dividere
in 600 soci

Gaetano Tobin, direttore della Cantina di Monteforte, festeggia i «Tre bicchieri» del Gambero Rosso
Gaetano Tobin, direttore della Cantina di Monteforte, festeggia i «Tre bicchieri» del Gambero Rosso
Gaetano Tobin, direttore della Cantina di Monteforte, festeggia i «Tre bicchieri» del Gambero Rosso
Gaetano Tobin, direttore della Cantina di Monteforte, festeggia i «Tre bicchieri» del Gambero Rosso

Tre bicchieri per 600 soci che fanno tutela ambientale, coltivando su 1.300 ettari vestiti a vigna sulle colline e in alcune aree di pianura attorno al paese a più alta densità viticola del mondo: ci riescono grazie alla scelta della cooperazione, la formula che il Gambero Rosso quest'anno premia riconoscendo al Soave superiore della Cantina di Monteforte la sua eccellenza, cioè i Tre bicchieri.

In 65 anni di storia per la cantina cooperativa guidata da Massimino Stizzoli e diretta da 35 anni da Gaetano Tobin è un risultato storico, «perché se è vero che il Soave superiore Vigneto di Castellaro è uno dei nostri vini di punta, è vero soprattutto che lo è grazie al contributo di tutti attraverso la cooperazione», dicono in coro.

Qualcuno non capì l'entusiasmo di Tobin quando, nel 2002, il nuovo disciplinare di produzione del Soave prevedette l'eccellenza della Docg (e con esso la regola dei 100 quintali ad ettaro): «La nostra scommessa sui cru era partita proprio dal Castellaro, che si è confermato nel tempo come la punta di diamante. La Garantita esige qualità, e a questo abbiamo lavorato credendoci sempre e perseverando», spiega Tobin.

La Cantina di Monteforte, un fatturato che si attesta sui 16 milioni di euro, fa uscire con etichetta solo il 20% dei 200 mila quintali di vino prodotti in media in un anno: tutto il resto è sfuso e anche questo aspetto giustifica, da solo, l'entusiasmo tra i conferitori. «I tre bicchieri premiano una visione imprenditoriale, il modello produttivo della cooperazione che assicura reddito e lavoro ad un intero comprensorio di micro aziende e lo fa mettendo sullo stesso piano tutela del paesaggio, conservazione dell'ambiente, ricerca della massima qualità. Il nostro compito», aggiunge il direttore della Cantina, «è gestire bene ciò che la natura ci da».

Cooperazione non significa meramente un numero consistente di conferitori, «per noi vuol dire azienda a misura di viticoltore, confronto costante e continuo col mondo della produzione. Solo così, solo spiegando orientamenti, scelte, principi si costruisce lentamente la condivisione che consente di lavorare insieme verso gli stessi obiettivi». È stato così da sempre e l'ultima sfida capace di diventare in poco tempo prima una prassi e poi un motivo di orgoglio, è stata la rivoluzione legata alla cosiddetta «Etichetta verde».

«La nostra è stata la prima azienda del Soave a volersi impegnare a produrre secondo il modello Lyfe cycle assessment (Lca), cioè calcolando l'incidenza sull'ambiente di tutte le fasi di lavorazione all'interno dela filiera, dall'impianto del vigneto alleditte che producono bottiglie, dalla lavorazione in cantina al bicchiere. Lo stesso Castellaro», spiega Tobin, «viene prodotto senza l'utilizzo di fitofarmaci, con tecniche a basso impatto ambientale e col ricorso alla lotta integrata».

Delle 20 mila bottiglie di Soave superiore Castellaro 2015, la metà rimane sul mercato interno mentre l'altra viene degustata in Inghilterra, Olanda, Paesi nordici. Le altre etichette si trovano anche in Giappone, Russia e Stati Uniti d'America. «Noi siamo Garganega-dipendenti», dice Tobin, «e siamo in crescita con tutti gli uvaggi, Pinto Grigio, Chardonnay, Durella e le rosse Valpolicella, Cabernet e Merlot che costituiscono il 15 per cento della produzione. Negli anni siamo passati da 2 a 3,5 milioni di imbottigliato», aggiunge.

E gli spazi? «Diciamola così», svela Tobin: «La prossima vendemmia, vedrete, sarà in una cantina con spazi nuovi per sè e per l'imbottigliamento». P.D.C.

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