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Grandi predatori

L'esperto: «I lupi? Percorrono centinaia di chilometri, nessuno li ha portati qui»

Il professore di zoologia bolla l’idea che siano stati trasportati qui dall’uomo come fake news
Un esemplare di lupo, animale la cui struttura sociale ha tra i punti di forza la dispersione
Un esemplare di lupo, animale la cui struttura sociale ha tra i punti di forza la dispersione
Un esemplare di lupo, animale la cui struttura sociale ha tra i punti di forza la dispersione
Un esemplare di lupo, animale la cui struttura sociale ha tra i punti di forza la dispersione

Caricati su furgoni e liberati là dove non si erano mai spinti, per favorire la diffusione della specie. Verità? O «fake news», falsa notizia che si diffonde rapidamente, quanto i grandi predatori a cui si riferisce? Trattando di lupi, e del loro ritorno sulle Alpi centro-orientali italiane a un secolo e mezzo dalla scomparsa, capita spesso di leggere nel web o di sentire commenti che propendono per l’una o l’altra parte. A far chiarezza, interviene la scienza.

 

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«È una storia ricorrente in qualsiasi luogo in cui il lupo è stato assente per un certo numero di anni», esordisce Marco Apollonio, professore ordinario di Zoologia all’Università di Sassari. «Stupisce sentirla in Lessinia dove», osserva l’esperto, «l’arrivo spontaneo di un esemplare dai Balcani è stato monitorato da un radiocollare. Non è quindi un’opinione ma un dato di fatto». È accaduto sull’altopiano, e altrove, per l’enorme capacità di dispersione di questi animali, col «record mondiale» che ha toccato i 1.200 chilometri. In Europa sono stati documentati spostamenti di 3-400 chilometri: quelli percorsi da Slavc per arrivare sui Monti Lessini e dare origine alla coppia alfa.

 

Possiamo dunque archiviare come «fake news» che il lupo sia stato reintrodotto dall’uomo?

«Sì, sostenere il contrario è questione di non conoscenza o malafede. Perché è più semplice affermare che una specie è stata introdotta fisicamente in un luogo piuttosto che opporsi a un fenomeno biologico naturale».

Altri esempi?

«La prima coppia che si è insediata tra i boschi bavaresi, al confine tra Germania e Repubblica Ceca, è stata formata da un lupo polacco e da una lupa italiana. È la riprova della struttura sociale di questi predatori che hanno, nella dispersione, uno dei punti di forza. Occupano un territorio, lo difendono accanitamente e si riproducono. Per la progenie si aprono due possibilità: restare, senza riprodursi, aiutando ad allevare i fratelli; o, una volta maturi sessualmente, partire in dispersione».

Che cosa rappresenta per l’ecosistema la presenza del lupo?

«Il lupo non è una specie che deve essere difesa o santificata né demonizzata. È un animale selvatico all’interno di un ecosistema in cui ha il ruolo di essere predatore di ungulati, che possono essere selvatici o domestici, come pecore o bovini. Ciò non vuol dire che non si debba fare zootecnica, ma che questi animali hanno uno spirito di predazione di un certo genere, che estrinsecano e bisogna considerare. Dobbiamo poi fare i conti con la realtà delle Alpi, ampiamente antropizzate, con equilibri naturali che sono stati stravolti».

Di fronte a questa situazione, come agire?

«Serve una gestione attenta, non emotiva ma tecnica. Dovremo arrivare a ragionare su dove vogliamo o non vogliamo i lupi. Cercando di evitare di attirare gli animali in determinati luoghi e qui la gestione del cibo è fondamentale. Come tolgo i lupi è però una questione politica, non tecnica».

Nel partito degli «odiatori» c’è chi afferma che il lupo non deve esistere...

«È impensabile. I lupi arrivano dappertutto e la prevenzione aiuta. In termini di pianificazione complessiva serve piuttosto una riflessione, in tempi non lunghi, su cosa fare quando sono alle porte delle città. Non sono bestie buone o cattive ma animali selvatici».

Si parla poco dell’ibridazione: altro tema sottovalutato?

«La popolazione alpina sta per essere contaminata in maniera importante per assenza di iniziativa. Sono stati creati protocolli su cosa si dovrebbe fare, senza agire, e un problema come quello dell’ibridazione non può che aggravarsi».

Con quali conseguenze?

«Perdere una specie che abbiamo protetto e ora stiamo facendo diventare qualcosa di altro. Gli ibridi fanno danni esattamente come i lupi, creano lo stesso allarme sociale».

Che cosa ci stanno insegnando i lupi?

«Ci stanno costringendo a prendere sul serio la gestione della fauna selvatica. È più facile non decidere, pensando che un problema non affrontato si risolva da solo. In realtà, un problema non affrontato, peggiora. E non è unicamente colpa del lupo».

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