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I cent’anni di Alessandra che fu mamma per scelta

Mamma e figlio  Roberto Tecchio con il cappello degli alpini (lo era anche il padre) abbraccia la madre Alessandra Ginepro   FOTO PECORA
Mamma e figlio Roberto Tecchio con il cappello degli alpini (lo era anche il padre) abbraccia la madre Alessandra Ginepro FOTO PECORA
Mamma e figlio  Roberto Tecchio con il cappello degli alpini (lo era anche il padre) abbraccia la madre Alessandra Ginepro   FOTO PECORA
Mamma e figlio Roberto Tecchio con il cappello degli alpini (lo era anche il padre) abbraccia la madre Alessandra Ginepro FOTO PECORA

«C’è un bambino piccolo, rimasto solo in un collegio: perché non diventi sua mamma?». Don Luigi Perlati, all’epoca arciprete di Monteforte d’Alpone, disse così alla giovane sposina costretta dal calcio di un cavallo a rinunciare per sempre al suo sogno di maternità. Era la fine degli anni Cinquanta, la diagnosi era stata drastica per Alessandra Ginepro. La ragazza, nata a Montecchia il 23 gennaio 1923, era parrocchiana di don Perlati da quando, nel 1939, si era trasferita a Monteforte per via del lavoro da fittavolo del papà in località Zoppega. L’inizio del suo sogno l’aveva costruito nel 1946, sposando Giacomo Mario Tecchio, un bel ragazzo tre anni più grande di lei, ma poi ci fu quell’incidente. «Fu don Perlati a consolare i due sposi dicendo loro che sarebbero potuti diventare genitori di un bambino che da tempo viveva solo in un collegio a San Giacomo degli Ezzelini. Quel bambino, ero io». Roberto Tecchio oggi ha 68 anni e il suo regalo per i cento anni di mamma Alessandra è stato un gesto di gratitudine pubblica. «Sono stati per me genitori stupendi, amorevoli, che fin dal primo momento mi hanno trattato come ci fossi sempre stato. Mio papà è andato avanti», si commuove Tecchio, «era il 1990, ma a questi cento anni voglio che ci sia anche lui», dice indicando il cappello alpino. Lo ha indossato per questo motivo arrivando alla casa di riposo della Fondazione Don Mozzatti d’Aprili, dove mamma Alessandra è ospite da sei anni. «Papà era stato un alpino del battaglione Valdadige, suo fratello Arsenio partì per la Campagna di Russia e non tornò più: ho voluto fare anch’io l’alpino», spiega il figlio, da vice capozona dell’Ana del paese. Penna nera in testa lui, corona di cartoncino giallo oro con intagliato il numero 100 per la madre, Roberto e Alessandra il loro abbraccio se lo sono scambiato prima davanti agli ospiti della Rsa (alla presenza del sindaco Roberto Costa, dell’assessore Graziella Sartori e del presidente della Fondazione Rosario Naddeo) e ieri assieme ai parenti riuniti in Baita alpini. Mamma Alessandra sorride, se lo abbraccia e ti racconta che a cento anni ci si arriva col lavoro e il silenzio ma pure lavorando a maglia, la sua autentica passione. Due nipoti e quattro pronipoti, Alessandra a guardare indietro racconta di quando i repubblichini le piombarono in casa rubando un intero salame, ma anche che quando per la prima volta si accese una lampadina a casa sua lei scappò terrorizzata, convinta che la casa stesse andando a fuoco. Altri tempi, altre emozioni e a prevalere, oggi, è quella di Roberto che torna bambino: «Quel giorno uscivo per la prima volta dal collegio perché per la prima volta era venuto qualcuno per me. Era un signore che mi portò a casa sua e fu la prima volta che vidi i tacchini: ne rimasi incantato. Era mio zio Nello Pelosato, marito di Maria Teresina, sorella di mia mamma. Un gesto d’amore tutto per me aveva mobilitato un’intera famiglia». Non ha ragione delle lacrime Roberto mentre gli sguardi, complici, si incontrano e le dita delle mani si intrecciano come la lana attorno al ferro da maglia: «Auguri mamma, e dal profondo del cuore, grazie».•.

Paola Dalli Cani

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