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Dolce amarcord
L’ex zuccherificio
è storia del paese

Carri e barbabietole: la foto testimonia del lavoro che svolgeva l’ex zuccherificioL’ex zuccherificio di San Bonifacio come appare oggi FOTO AMATODipendenti dell’ex zuccherificio
Carri e barbabietole: la foto testimonia del lavoro che svolgeva l’ex zuccherificioL’ex zuccherificio di San Bonifacio come appare oggi FOTO AMATODipendenti dell’ex zuccherificio
Carri e barbabietole: la foto testimonia del lavoro che svolgeva l’ex zuccherificioL’ex zuccherificio di San Bonifacio come appare oggi FOTO AMATODipendenti dell’ex zuccherificio
Carri e barbabietole: la foto testimonia del lavoro che svolgeva l’ex zuccherificioL’ex zuccherificio di San Bonifacio come appare oggi FOTO AMATODipendenti dell’ex zuccherificio

«Quella fabbrica al di là della strada Milano-Venezia, strada nazionale Milano-Venezia, dove per attraversare bastava aspettare un pochino perché poi il traffico si fermava, e dove un contadino col cappello apriva il cancello a mano per fare entrare gli operai»: eccolo l’ex zuccherificio di San Bonifacio, descritto con la parole di Rinaldo Caffarena, che lì dentro ci fece due «campagne degli zuccheri» a cavallo degli anni Cinquanta.

Sono quasi quarant’anni che l’ex zuccherificio è nell’abbandono, e ora che con un’intesa tra Maxi-Di, Ferroli e Pedrollo (con il ruolo strategico e di collante del Comune) si avvia a nuova vita, il paese riscopre un pezzo della sua storia. Una storia che il mastodontico intervento con cui traslocare l’Iperfamila, dare aree a Pedrollo, trovare fondi per la Ferroli e possibilità di lavoro anche per alcuni operai in esubero, ma pure dotare San Bonifacio di un collegamento ciclabile con la Val d’Alpone in un senso e con Arcole e Cologna Veneta in quello opposto, non cancellerà visto che la pregevole facciata in mattoni rossi faccia vista dello zuccherificio sarà recuperata e valorizzata.

SONO QUASI quarant’anni che l’ex zuccherificio, magnifico esempio di archeologia industriale, cerca futuro: la sua attività cessò con la stagione 1967-1968, poi venne la ferriera della Società metallurgica Sambonifacese, poi una ditta che faceva barre d’acciaio, quindi una che lavorava pelli e infine l’ultima che costruiva cisterne in vetroresina.

Tutto, e cioè la storia dello zuccherificio che regalò a San Bonifacio la fisionomia di area industriale, cominciò sul finire dell’Ottocento quando il paese era considerato una località agricola della Bassa e quando tutti lo chiamavano «Sambonifacio». Nel 1892 era nata infatti la Associazione agraria del Basso veronese (successivamente Unione dei Consorzi agrari) tra Legnago, Cologna Veneta, Isola della Scala, Sanguinetto e San Bonifacio che, preso atto della crescente domanda di zucchero, diede impulso alla coltivazione della barbabietola ritenuta più redditizia del mais.

SOLO QUALCHE ANNO dopo, giusto il tempo che l’area dell’Est veronese venisse adocchiata con interesse per tirarci su uno zuccherificio, alcuni agricoltori di San Bonifacio costituiscono un «Comitato generale» che qualche tempo dopo fece da base alla «Società veronese» per la fabbricazione dello zucchero: l’obiettivo era ambizioso, cioè far nascere lo zuccherificio sul terreno della contessa Peronn-Bettoni a Villanova. Posizione strategica sulla strada nazionale, a ridosso della sponda sinistra dell’Alpone, ad un passo dalla ferrovia: in 40, come si legge nella ricca relazione storica redatta dall’architetto Giovanna Tonoli, comprarono le 15 mila azioni da 100 lire e misero insieme il capitale sociale per partire: si brindò a vermouth.

IN PIENA VENDEMMIA l’impresa milanese Bonomi apre il cantiere che dovrà realizzare il progetto dell’ingegner Filippo Stiker, uomo della società tedesca Braunnswighesche (di qui la chiara impronta teutonica nell’architettura): esattamente un anno dopo, il 5 settembre del 1900, una grande festa accompagna l’inaugurazione del complesso in capo alla «Società anonima degli zuccherifici veronesi riuniti in Sambonifacio e Cologna Veneta» che entrerà pienamente in funzione alla fine del luglio 1901.

SU UN’AREA di circa 16 ettari vengono su le prime costruzioni che negli anni Cinquanta saranno dodici: l’opificio, tre magazzini, otto piccoli fabbricati di servizio, la ciminiera che si staglia per venti metri e quasi quasi fa ombra all’Abbazia di Villanova, per un totale di 8.262,43 metri quadrati coperti ed un volume complessivo di 84.481,84 metri cubi. Ingressi, pese, laboratori, silos, vasche, residenza dei direttori di fabbrica e del custode, portineria, ricoveri, depositi: tutto, compreso il trenino interno.

Poco più a ovest, lungo la «nazionale» le casette degli operai. Inizia così la parabola dello zuccherificio che dalla fine del 1930 passa a Eridania. Sono gli anni in cui gli agricoltori smettono di guardare di traverso questa nuova specie di lavoratori, cioè gli operai, e crescono case e famiglie: sono gli anni di Giovanni Buin, mitologico fuochista, o usando le parole di Tonoli «il padrone di un inferno di pentole nelle quali la barbabietola si trasformava in zucchero».

SONO GLI ANNI in cui fabbrica fa rima con quel benessere e quella modernità che trasformeranno San Bonifacio in distretto industriale: il paese è talmente fiero del «suo» zuccherificio da metterlo regolarmente in cartolina, quasi che a mandarli da lì, da sotto la ciminiera, i saluti da Sambonifacio quasi quasi possano essere...più dolci.

Paola Dalli Cani

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