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I fatti di San Giovanni Ilarione

La caccia all'uomo e la paura: «È tornato a casa, è finito tutto»

LA SEQUENZA DELL'ARRESTO (DIENNEFOTO)

«Mamma, lo sapevo che sarebbe tornato, è tornato a casa, sta bene, è finito tutto!». La voce di Roberta Simonini, nipote di Luigi, l'uomo che per cinque ore è stato braccato dai carabinieri dopo aver sparato e aver terrorizzato moglie e figlia, ha retto giusto per gridare al telefono con la madre la notizia più attesa. L’ha dovuta ripetere, rassicurarla, per poi scoppiare a piangere, lasciar andare il braccio che sorreggeva lo smartphone e liberare tensione, adrenalina, paura.
I volti della famiglia Simonini ieri erano i loro, quello della nipote infermiera e quello di Matteo, primogenito di papà Luigi. Dal ponte del Mangano non si sono praticamente mai mossi: Matteo a far il negoziatore aggiunto dei carabinieri, a raccogliere informazioni dai famigliari, a rispondere ai militari, a dare indicazioni su dove il padre avrebbe potuto trovare un luogo da ritenere sicuro e, quindi, a dare il proprio contributo alla ricerca. Roberta a fare lo stesso.
Cinque ore così, sotto il sole e con l’animo a spasso tra la visione di scenari tragici e quella di un epilogo senza che nessuno si sia fatto del male, cinque ore a rivedere il film dell’ultimo periodo, a cercare nella memoria ricordi di eventuali segnali, avvisaglie, magari frasi messe lì.
Sull’ultimo post scritto da Simonini il 4 agosto sul suo account Facebook ieri in tanti si sono interrogati. «Effetto domino. Iniziato!!!», aveva scritto per poi rispondere, a chi chiedeva di capire, «se ti dico non capiresti mai, lo capirai al momento opportuno». 
Sarà passato anche questo tra i pensieri di figlio e nipote in quelle lunghe cinque ore fatte di indicazioni sulla struttura della casa, di colloqui con gli investigatori e di quell’angoscia e quel disagio crescente col passare delle ore.
Sotto gli occhi tutto quello che si è mosso: mezzi militari e uomini in divisa in arrivo continuo e assieme a loro carabinieri in borghese con auto civili e lampeggianti piazzati ma spenti, poco dopo mezzogiorno anche un ragazzo visto mille volte in pizzeria: cosa ci facesse lì e perché lui, contrariamente a tutti gli altri, venisse fatto passare lo hanno capito quando Davide Nardi, questo il nome del giovane, dalla sacca che aveva con sé ha estratto il suo drone.
Ci ha provato anche lui, per quel che poteva, a dare una mano, a tentare per quello che era nelle sue possibilità a scrivere il prima possibile la parola fine di quella storia che stava seminando sgomento, angoscia, incredulità in un intero paese.
Lo sguardo ogni tanto sul volto del comandante della Polizia locale Piero Luigi Corrà, del sindaco Luciano Marcazzan, delle persone conosciute ma lasciate a distanza per ragioni di sicurezza.

 

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Domande e paure Roberta e Matteo, nella mente le domande più diverse, legate a una fragilità intravista o che si è sempre ben nascosta mescolate a quelle che solo loro, la sua famiglia, hanno potuto farsi in quel tempo infinito. E domande su come sarebbe andata a finire e sul dopo, un «dopo» che sarebbe cambiato a seconda di come quella maledetta giornata si sarebbe conclusa. L’uno a fianco all’altra in silenzio, Matteo da una parte e Roberta dall’altra, al telefono anche per accertarsi di come stessero Daniela e Alba, per patire, riflettere e provare a cercare insieme soluzioni e risposte. C’era solo Roberta sul ponte attorno alle 16 quando il movimento repentino dei carabinieri della Sos l’ha allertata: suo zio che faceva capolino lo ha visto da distante, l’ha visto gettare a terra l’arma senza far del male a se stesso o ad altri, l’ha visto essere immobilizzato, ha visto finire l’incubo.

Paola Dalli Cani

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