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Bolca, trovati granchi mai visti

La proiezione, al convegno a Bolca, delle immagini dei fossili di granchio FOTOSERVIZIO PECORA
La proiezione, al convegno a Bolca, delle immagini dei fossili di granchio FOTOSERVIZIO PECORA
La proiezione, al convegno a Bolca, delle immagini dei fossili di granchio FOTOSERVIZIO PECORA
La proiezione, al convegno a Bolca, delle immagini dei fossili di granchio FOTOSERVIZIO PECORA

Dalle ricerche di un trittico di esperti vengono alla luce 119 nuove forme di granchi fossili, di cui 62 assolutamente inedite per la scienza. Cinquanta milioni di anni dopo la laguna fossile di Bolca e delle località vicine svelano ulteriori segreti sull’ambiente primigenio paragonabile a un atollo del Pacifico. Le avevano annunciate come mondiali le novità della seconda giornata del convegno «Bolca: un patrimonio storico-paleontologico da valorizzare. Stato delle ricerche e programmi futuri», e gli organizzatori sono stati di parola: Claudio Beschin (museo Zannato di Montecchio) e i ricercatori Alessandra Busulini e Giuliano Tessier ieri al museo dei fossili di Bolca hanno lasciato tutti a bocca aperta.

Quasi 800 gli esemplari studiati, e prima (con una ricerca di superficie autorizzata da Ente parco e Sovrintendenza di Verona) scovati nelle rocce delle località Rama, Cracchi, Laisi, Valecco, Zovo e sul Monte Postale: è emersa così il nuovo genere di crostacei decapodi che racconta nel nome, Bolcagalathea, la sua origine.

SONO ESEMPLARI piccolissimi, misurano da 1 a 5 millimetri e arrivano al massimo a un centimetro e mezzo, e fanno parte della fauna intrappolata in accumuli ad alghe, coralli e molluschi. Individuato il genere, è stato anche indicato un «nome» che ne evidenzi le peculiarità: ecco allora la Bolcagalathea corallina, la Bolcagalathea multispinosa e la Bolcagalathea venetica.

I granchi sono presenze frequenti nei giacimenti a coralli dell’Eocene inferiore (circa 50 milioni di anni fa), ma Bolca anche in questa occasione ha confermato in pieno la sua reputazione: «Straordinaria la biodiversità verificata anche per i granchi», hanno riconosciuto i tre studiosi.

Ieri di esemplari ne hanno fatti vedere giusto il numero che ci stava nei 15 minuti concessi per la presentazione: abbastanza per scoprire (grazie ai nomi che rimandano a Bolca, a Vestenanova, alla famiglia Cerato ad esempio) quante novità abbiano accompagnato questo studio: ecco allora l’Esadayoshia bolcensis (la cui sagoma si riconosce nell’attuale Sadayoshia sp australiana), la Faxegalathea valeccensis (che omaggia Valecco), il Bromiopsis ceratoi (antesignano del granchio facchino che si trova anche nel Mediterraneo), l’Acanthodromia zannatoi (in omaggio del museo Zannato, parente dell’Acanthodromia margarita del Pacifico e dell’Oceano indiano), la Bolcapisa giulianae (affine alla attuale Pisa nodipes della Bretagna).

Un capitolo a parte è costituito dalle daire e alla loro grande ricchezza varietale: la «regina», grande 5,4 millimetri, è la nuova Daira vestenanovensis, parente della Daira perlata che abita l’oceano Indo-Pacifico e della Daira americana.

Di nuovo, ma dal XIX secolo, è arrivato qualcosa grazie a Luca Giusberti (Università di Padova) che ha fatto luce su un sito molto noto a metà Ottocento ma del quale Abramo Massalongo (uno dei paleobotanici che legò il suo nome al giacimento di Bolca) fece piazza pulita. Giusberti ha infatti accertato che il sito, oggi presente solo nella memoria degli anziani come «Monte Colle», nel 1854 svelò a Massalongo reperti di flora del Cretaceo superiore, vale a dire risalenti a 94-92 milioni di anni fa.

MASSALONGO lo ipotizzò, ma oggi Giusberti, incrociate le informazioni e studiato tutto ciò che su quel sito è stato scritto, ha fatto una doppia scoperta che gli ha fatto sottolineare una volta di più l’eccezionalità del giacimento di Bolca, e cioè che effettivamente quel sito era preziosissimo perché lontanissimo nel tempo e che Massalongo nel 1856 (chiamandole Aulartrophyton) scoprì per primo le foglie fossili (o filliti) del genere che dal 1869 è noto come Frenelopsis.

Paola Dalli Cani

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