<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Le indagini

Zenatti, la «profezia» dell'investigatore: «Di lui sentiremo parlare ancora». Può riaprirsi il caso del 2006

La Scientifica sul luogo del delitto del 2006
La Scientifica sul luogo del delitto del 2006
La Scientifica sul luogo del delitto del 2006
La Scientifica sul luogo del delitto del 2006

«Di lui sentiremo parlare ancora». E quel verbo al futuro, si è coniugato al presente. Marco Odorisio da alcuni anni è questore di Pordenone, ma quando Enrico Zenatti, oggi in carcere con l’accusa di omicidio dell’anziana suocera nel Mantovano, venne indagato per l’omicidio delle due lucciole sudamericane, era il capo della squadra Mobile veronese.
Fu lui, con i suoi uomini a fare sopralluoghi, perquisizioni, verbalizzazioni di testimonianze. E quando nei giorni scorsi la notizia di un suo nuovo arresto, con il sospetto che Zenatti sia l’omicida della suocera, è deflagrata a Verona, i suoi investigatori, quelli che all’epoca seguirono il caso, gli hanno fatto diventare bollente il cellulare.
«Capo, hanno arrestato Zenatti. Dicono che abbia ucciso la suocera. Aveva ragione, avevamo ragione, lo abbiamo sempre saputo che prima o poi avrebbe ucciso di nuovo», gli hanno detto dall’altra parte dell’apparecchio.

 

Leggi anche
Assassinio della suocera, Zenatti nega ogni responsabilità. Ma rimane in carcere

 


In quegli anni, era il 2005, le indagini erano state serrate, i poliziotti avevano messo insieme talmente tanti indizi su Zenatti, che nessuno mai avrebbe ipotizzato che potesse non essere condannato. Ed infatti in primo grado il pubblico ministero Fabrizio Celenza (lo stesso che oggi lo sta indagando a Mantova, avendo il magistrato cambiato sede), per Zenatti aveva chiesto trent’anni, che con il rito abbreviato erano diventati 18. Poi l’Appello, il ribaltamento della sentenza e la Cassazione che aveva confermato l’assoluzione.
Di Zenatti si erano perdute le tracce da anni, anche se per un periodo era stato tenuto monitorato. Non mollavano i poliziotti veronesi, perchè erano sicuri che se è vero che il suo era stato un processo indiziario, altrettanto vero è che c’erano così tanti indizi, così coincidenti, precisi, concordanti, che l’assassino delle due lucciole non poteva non essere Zenatti. Celle telefoniche agganciate, persone che lo avevano visto con le vittime. Ritagli di giornale sugli omicidi, nascosti sotto la ruota di scorta della sua auto.

Eppure l’Appello vide assolto quel padre di famiglia (i suoi figli oggi hanno una ventina d’anni), che le indagini avevano mostrato essere molto diverso da come appariva. Una doppia vita, un’ossessione per le lucciole sudamericane. «Le sentenze si rispettano, ma noi avevamo elementi oggettivi che ci dimostravano che Zenatti aveva avuto rapporti con le due donne, una uccisa, ed una scomparsa. Con l’acquisizione dei tabulati telefonici risultarono centinaia di telefonate a quei numeri, che poi improvvisamente cessarono. Sia la cittadina brasiliana Luciana Lino Da Jusus, che aveva 29 anni che la colombiana Yolanda Garcia Holguin, che di anni ne aveva 38, avevano frequentato Zenatti. Per la seconda, inghiottita dal nulla, avevamo testimoni, vicini di casa che dissero che Zenatti aveva le chiavi di casa sua e andava e veniva, lo avevano sempre considerato il compagno della donna», spiega Odorisio.


«Le celle telefoniche mostravano un numero di telefono, quello di Zenatti, impressionante nella ripetitività. Le due donne lavoravano con il telefono, non lo avrebbero mai abbandonato, eppure lui stesso ad un certo punto rispondendo ai familiari di Yolanda disse che la donna non voleva più essere rintracciata. Stessa risposta che diede ad un’amica preoccupata del fatto che Yolanda non rispondesse», dice il questore. «Quando i miei poliziotti mi hanno chiamato per dirmi quello che era successo nel Mantovano, il mio pensiero è andato subito alle vittime. Luciana aveva i biglietti per tornare in Brasile dal suo bambino che all’epoca aveva tre anni. Aveva messo da parte un gruzzoletto, decisa ad acquistare una casa per la sua famiglia. La trovammo con un foulard di seta al collo, strangolata con una forza così brutale da spezzarle l’osso cervicale, avvolta in lenzuolo, con le estremità chiuse, come se fosse un’enorme caramella».
Quel corpo, se ci fosse stato più tempo sarebbe probabilmente stato caricato su un’auto e fatto sparire chissà dove. Quel «dove», lo stesso forse, in cui un assassino, avrà nascosto anche il corpo di Yolanda. Zenatti si disse sempre estraneo, chiudendosi a riccio. Estraneo come nel caso della suocera. «Male non fare, paura non avere», era il leit motiv di Zenatti durante gli interrogatori.
«Nessuno vieta di riaprire il caso, un’analisi a pista fredda. I cold case esistono, se emergesse qualcosa di nuovo, qualche elemento, qualche testimonianza in più. Chissà», conclude il questore Odorisio.

Alessandra Vaccari

Suggerimenti