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Il recupero dell’edificio anni ’30 del ’900

Villa Tiberghien, il gioiello ritrovato. A San Michele un segno del destino

Cristina Fioraso ha un negozio in via Mameli ma la sua famiglia era legata al lanificio. E così è tornata Restituendo la bellezza di un luogo ricco di racconti
Cristina Fioraso e Villa Tiberghien (Marchiori)
Cristina Fioraso e Villa Tiberghien (Marchiori)
Villa Tiberghien (Marchiori)

Villa Tiberghien, primo piano. C’è tanta luce. Entra dalle grandi finestre o dalle scale ariose anche se fuori è nuvoloso. Fa risplendere tavoli, credenze e altri mobili originali degli anni Trenta del Novecento che sono qui da sempre, pavimenti in marmo lucido e policromo, porte di radica che sono pezzi unici, complementi d’arredo scelti con gusto dalla proprietaria Cristina Fioraso.

Le stanze sono ampie e squadrate, i soffitti alti. Gli infissi che scorrono si aprono per metà o si bloccano dove vuoi tu sono capolavori d’ingegneria ancora perfettamente funzionanti. Gli armadi a muro conservano, sul retro di qualche cassetto, scritto a mano in bella grafia, la firma dell'autore: «Gino Rotta, falegnameria Borgo Milano, 1938». «L’ha scoperta mia figlia per caso, ma questa casa è ricca di piacevoli sorprese», afferma Fioraso.

È felice, ama queste stanze. «Non sono stata io o la mia famiglia a scegliere questa casa», racconta. «È stata questa casa a scegliere noi. Perché ce ne prendessimo cura, perché venisse nuovamente amata come merita».

Per le pareti ha scelto le tinte naturali dello storico colorificio Dolci. È andata fino in Liguria per far sistemare due sedie “chiavarine” - nate da estro e maestria degli ebanisti di Chiavari - modello camera da letto. Su due tavolini in legno scuro, invece, campeggia la targhetta del mobilificio falegnameria Falceri che aveva stabilimento a Parona, disegnati niente di meno che dall’architetto, scenografo e restauratore veronese Ettore Fagiuoli.

La scala elicoidale della villa (Marchiori)
La scala elicoidale della villa (Marchiori)

«Ovunque ci si giri, qui, ci sono storia e bellezza», prosegue. E poi la scala per arrivarci, al primo piano. Da mille e una notte. Di forma elicoidale, con scalini tutti di diverse dimensioni e quattro tipologie di marmi. «Sono Botticino, Giallo di Sardegna, Verde Alpi e Carrara misto», elenca Fioraso. Abita qui da pochi mesi, ma sa tutto. Anche degli esterni, dove pure fa da guida. «L’edificio è di stampo razionalista», spiega, «e ha rifiniture che dimostrano l’elevata qualità delle maestranze artigiane». È circondato da un giardino che si affaccia su corso Venezia. Ma traffico e caos rimangono fuori dalla porta. Sull’altro lato via Capitel, che oggi dà su condomini e attività commerciali.

Il restauro conservativo

Divisa col tempo in tre unità immobiliari, una per piano, al primo la villa sta tornando a risplendere grazie al restauro conservativo voluto da Fioraso. E al suo tocco originale, quasi magico. Insieme al marito, l’ha acquistata dopo un lungo corteggiamento e ci abita anche con le figlie. Senza badare a spifferi o qualche scomodità. «Cosa importa, qui si respira e si vive la bellezza», dice.

L’ha voluta anche perché grande, con tanto spazio dove ospitare amici, clienti e chiunque voglia condividere con lei, titolare in via Mameli a Borgo Trento del negozio di biancheria per la casa «120MameliStrasse», la passione per tessuti e filati di alta qualità, pittura, fotografia e arte in genere. A giugno ha già aperto le porte della sua nuova casa per un primo, informale evento. Oggi, domenica 2 ottobre, ne ha organizzato un altro. «La condivisione è tutto, perché è solo così che ci si possono scambiare le idee e aprirsi al confronto che arricchisce. E poi c’è così tanto bisogno di riscoprire il bello», dichiara Fioraso.

La fabbrica e la famiglia Tiberghien

È una casa d’altri tempi, maestosa e bellissima, la villa costruita su progetto dell’ingegnere austriaco Antonio Tonzig nel 1936 per la direzione generale e i proprietari del Lanificio Tiberghien, l’enorme fabbrica di San Michele Extra che nel Novecento per un secolo diede lavoro, dignità e futuro a circa 1.500 persone tra cui molte donne. È stata la terza fabbrica in Italia per numero di addetti.

Era il 1907 quando alcuni membri della famiglia dei Tiberghien avviarono i telai per la lavorazione di tessuti in lana e diedero vita, su circa 27mila metri quadrati in mezzo a 70mila ettari di campagna, a una delle prime grandi fabbriche nel Veronese. Il primo mattone fu posato il 4 novembre 1906 e fu benedetto pure dall’arciprete di San Michele Extra, don Silvino Burati.

L'interno
L'interno

Trent’anni dopo arrivarono anche la villa, che ospitava al piano terra gli uffici, e col tempo una serie di opere del genere cittadella sociale secondo i principi del “paternalismo aziendale” in voga nel periodo: le case operaie, la cooperativa di consumo, il convitto femminile, il circolo ricreativo. Attorno al Lanificio Tiberghien vita e lavoro si intrecciarono così tanto da far sorgere un quartiere. Con alterne fortune l’azienda tessile rimase in vita fino al 2004, quando chiuse i battenti. Nel 2016 i laboratori furono abbattuti. E il Lanificio è diventato uno dei simboli della Verona industriale che fu.

La nonna operaia nel lanificio

La nonna materna di Cristina Fioraso, Alba, vi lavorò 30 anni come operaia. «Era addetta alla filatura e lo chiamava “el stabilmento”», racconta. «Tra le lavoratrici c’erano anche le cognate della nonna, Teresina e Maria, la prima al rammendo e la seconda ai telai». Ed ecco che per Cristina, famiglia originaria di San Michele con la lana e i tessuti nel dna, Villa Tiberghien è più di una casa. Più di un progetto o un sogno.

«È un destino», riconosce. «La prima notte che ho dormito in questa casa mi sono svegliata di soprassalto alle 5.38. Non mi capita mai. Non riuscivo più a prendere sonno, il tempo passava. Allora mi sono alzata, sono andata alla finestra e ad attendermi c’era un’alba meravigliosa. E mia nonna si chiamava Alba». Semplice coincidenza? «No, direi un segno eloquente. Era il suo benvenuto».

Sopra di lei, all’ultimo piano, vive dagli anni Ottanta Maria Melotti. Anche sua mamma, Elisabetta, lavorò al Lanificio. «Per 40 anni, era addetta ai telai», racconta Maria. «Viveva a Poiano e ci andava in bicicletta. Con qualsiasi tempo, sempre. Anche quando era incinta di me». Anche per lei, come per Cristina, abitare qui è un atto d’amore. Un tributo alla famiglia e al passato. Un augurio per il futuro. Perché edifici come Villa Tiberghien vengano tutelati e consegnati alle nuove generazioni.

L’evento dedicato alla lana

Si chiama «L’anelando» la giornata dedicata alla lana che si svolge oggi al primo piano di Villa Tiberghien (ingresso via del Capitel 2), dalle 11 alle 18, con la regia di Fioraso. L’ingresso è libero, «purché ci sia rispetto e voglia di relazioni autentiche», annuncia la padrona di casa. Una decina le aziende tessili di cui verranno messi in mostra i prodotti, a partire da coperte e sciarpe.

«L’evento vuole essere un tributo alla lana, materiale naturale ottimo per scaldarsi e ricco di virtù, al Tiberghien che per decenni ha fornito lavoro a migliaia di persone, a mia nonna Alba che di quel periodo ripeteva spesso “quanto laoro”», conclude Fioraso.

Ha cominciato con il padre in bottega, proprio a San Michele, a stare in mezzo ai tessuti. E prima ancora c’era stata la nonna paterna, ad avviare tutto. Il suo arrivo alla villa che fu di un lanificio è proprio un destino. Ma oggi, alla mostra mercato, ci saranno anche le opere di vari artisti: quelle in raku della ceramista Cristina Annichini, le fotografie di Carolina Daldossi, i dipinti di Kiko. Le faranno visita anche le socie e amiche dell’associazione Ad Maiora, che pure del tessile hanno fatto un’arte spedendosi anche in attività sociali.

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Camilla Madinelli

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