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La vicenda

Il rider si fa 50 chilometri in bici per una consegna. Bassi: «Una vergogna che va fermata»

L'ex consigliere regionale racconta l'esperienza personale con un giovane fattorino costretto ad accettare l'incarico per non perdere lavoro
Bassi racconta la vicenda legata ai rider
Bassi racconta la vicenda legata ai rider
Bassi racconta la vicenda legata ai rider
Bassi racconta la vicenda legata ai rider

Una cinquantina di chilometri in bicicletta, di sera, per consegnare degli hamburger. La città da attraversare, da est a ovest, pedalando nel buio il più velocemente possibile, per non perdere il resto del lavoro. La certezza di essere ingabbiati nell’«algoritmo» che al primo rifiuto per la destinazione troppo lontana o perché si buca la ruota, ti butta in fondo alla lista e non guadagni più.

«Ma questo è schiavismo psicologico», denuncia Andrea Bassi, veronese ex consigliere regionale, che giovedì sera, per la «colpa» di voler mangiare a casa patatine e panino, ha fatto un ordine su Deliveroo e, giura, «non lo farò mai più: inconsapevolmente ho alimentato un sistema che sfrutta il lavoro dei rider e toglie loro dignità. Sono ragazzi che fanno fatiche disumane e io mi sono sentito un grande stupido. Non accadrà più, invito tutti a riflettere prima di diventare conniventi di questa schifezza».

La vicenda

«Quello che mi è successo giovedì sera», racconta, «mi ha fatto davvero riflettere su quanto le multinazionali abusino dei loro collaboratori molto più di quel che pensiamo. Ho ordinato online in una nota catena di fast-food optando, per la prima volta nella mia vita, di ricevere tutto a casa. L’azienda in questione non effettua consegna diretta ma si avvale di una App: casualmente scelgo Deliveroo e pago con Paypal. Sono le 18.40 circa e l’arrivo della cena è stimato nel giro di un'oretta». Non è così. 

Il ritardo

«Alle 20.50 il fattorino doveva ancora arrivare», continua Bassi, «Deliveroo non dava alcun riferimento telefonico e quindi decido di chiamare l’hamburgheria per chiedere spiegazioni del ritardo. Mi rispondono che il problema non dipendeva da loro ma, appunto, dal rider ma mi garantiscono, scusandosi, che entro poco avrei sentito suonare al campanello. Alle 21.10 l'applicazione sul cellulare inizia infatti a segnalare l'avvicinamento del fattorino alla mia abitazione. Scendo in strada innervosito, ma rimango di sasso, basito: mi trovo davanti un giovane, in sella alla sua bici tra l'altro parecchio carente sotto il profilo della sicurezza, affaticato e in un evidente stato di disagio. Mi dice che era oberato di consegne, che ha dovuto attraversare l'intera provincia per correre al fast-food a prendere la mia “dannata“ cena e portarmela sotto casa».

Bassi trasecola e si fa spiegare meglio: «Mi racconta che aveva già rifiutato la consegna per ben due volte proprio perché troppo distante, che in tutto tra andata e ritorno erano 40-50 chilometri ma che poi, alla terza richiesta, ha dovuto accettare per non finire nella “lista nera“ dell’algoritmo».

«Sfruttamento, schiavismo e sudditanza psicologica»

In bicicletta, di notte, dall’Est della città fino a Bussolengo. «Mi sono venuti i brividi, ho provato una pena enorme», continua Bassi, «gli ho chiesto se voleva entrare in casa a riscaldarsi, a mangiare qualcosa, ma ha rifiutato: “ho tante cene da consegnare“, mi ha risposto, “non posso perdere tempo, grazie e scusi“. “Almeno la mancia, fammi entrare a prendere il portafoglio“, l’ho implorato ma lui “no grazie, devo scappare, non importa“. Era italiano, giovane, uno che evidentemente vive portando in bici panini e pizze a gente come me che non sa cosa spesso si nasconde dietro al delivery: c’è sfruttamento, c’è schiavismo, c’è sudditanza psicologica rispetto alla piattaforma che per un niente butta fuori i suoi collaboratori. E questa cos’è se non una vergogna da fermare in fretta?»

Camilla Ferro

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