<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
L'anniversario

Trent'anni fa la strage di Capaci. Quel caffè offerto al figlio di Montinaro: «Ha già pagato il tuo papà»

Nella strage di Capaci morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro
Nella strage di Capaci morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro
Nella strage di Capaci morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro
Nella strage di Capaci morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro

Anche quest’anno sono andato a Palermo per commemorare l’anniversario della strage di Capaci, di cui quest'anno ricorrono i 30 anni.
Per anni, racchiusa in una teca, davanti alla Scuola allievi di polizia di Peschiera di cui sono direttore, ha stazionato la carcassa della Quarto-Savona 15, l’auto su cui viaggiavano Falcone e la sua scorta e negli anni la vedova di Montinaro, Tina, è diventata un punto di riferimento, un’amica che ho spesso invitato alla Scuola, testimone vivente del sacrificio del marito.
Come si fa tra amici, ieri a Palermo, tra un evento e l’altro siamo andati in un bar con Tina ed il figlio Giovanni, a bere qualcosa.
E anche quest’anno dopo aver consumato, in un bar del centro, mi sono alzato e ho iniziato a discutere con loro perchè volevo offrire io le consumazioni, e loro pure.
La signora alla cassa si è alzata a sua volta, si è avvicinata a noi e, appoggiando la mano sulla spalla di Giovanni, gli ha detto: «Ha già fatto il tuo papà». Non lo dovrei dire, perché in molti pensano che i poliziotti non debbano piangere, o non ne siano capaci. Ma io non sono d’accordo e ammetto di aver fatto scendere dai miei occhi qualche goccia di acqua salata. Questa, anche questa, è la Palermo che non soltanto fa memoria, che tutto sommato è un esercizio della mente, ma che ricorda. Riporta cioè al cuore. Subito dopo siamo andati sulla piazza della cattedrale, pronti per partire, in corteo, in direzione del porto. Ci sono stati diversi interventi e un toccante momento in cui sono stati gridati i nomi di tutti i caduti delle stragi di Capaci e via d’Amelio, mentre migliaia di persone gridavano “Presente”.
Come al solito, però, i più grandi sono i bambini, quelli che al posto della cravatta indossano un sorriso e uno di loro, con la maglietta con su scritto “Siamo Capaci”, alzando la voce, perché tutti lo potessero sentire, ha detto: «Mamma e papà mi dicono sempre che “fa schifo“ non si dice e, infatti, io non lo dico mai, ma se penso alla mafia solo questa frase mi viene in mente. La mafia fa schifo! La mafia ci fa schifo!». Subito dopo siamo partiti in corteo ed eravamo tanti, tantissimi e c’erano le autorità, i familiari delle vittime, donne e uomini in divisa e bambini e ragazzi e insegnanti e le persone, che ci vedevano passare, uscivano dai negozi e sui balconi e applaudivano.
Applaudivano perché in testa al corteo, portati da allievi agenti della Polizia di Stato e da studenti, c’erano i ritratti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e delle donne e degli uomini che morirono nelle stragi e che non erano e sono solo gli uomini della scorta, perché hanno un nome, un cognome e avevano mogli, figli, genitori, amici e case, anche all’interno delle quali sono scoppiate quelle maledette bombe: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, che persero la vita il 23 maggio, ed Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, che persero la vita il 19 luglio.


Proprio i loro ritratti, insieme a quelli di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo e di Paolo Borsellino sono stati portati a bordo di undici barche a vela, che sono poi passate sulla lingua di mare, davanti al Foro Italico. Al momento del loro passaggio è stato suonato il Silenzio e grazie al vento che improvvisamente ha iniziato a soffiare, è parso che tutti e undici sorridessero. Gli eventi sono stati tanti e ancora di più saranno oggi, ma del resto quest’anno, visto che è il trentennale, si è cercato di organizzare in diversi luoghi di Palermo e in diversi contesti tanti momenti, che debbono servire per non dimenticare. Eventi realizzati soprattutto pensando ai giovani, a coloro che trent’anni fa non erano ancora nati. Un monito per coloro che devono e dovranno far sì che non torni più l’estate torrida e piena di sangue del 1992. Tante le iniziative anche se la più suggestiva rimarrà il Silenzio che verrà suonato oggi, nel Giardino del Silenzio, alle 17.58, alla stessa ora in cui 500 chili di tritolo fecero saltare in aria l’intera autostrada e le vite di chi stava facendo il proprio dovere.
Quando qualcuno mi chiede qualcosa sui nostri poliziotti eroi, io rispondo loro che è giusto chiamarli così, anche se erano ragazzi e ragazze che tenevano fede al loro giuramento svolgendo il loro servizio, semplicemente il loro servizio.
Durante il concerto della Banda della Polizia, l’attore Alessio Vassallo ha letto “Le parole di Antonio”, un dialogo, che ho scritto, pensando al dialogo, che non c’è mai stato o forse sì, tra il capo scorta del giudice Falcone, Antonio Montinaro, e suo figlio Giovanni, di soli 2 anni, pochi giorni prima della strage. «Sai una cosa? Se ti sveglierai e non mi troverai più, non piangere e non sentirti triste, perché io sarò dentro il sole che ogni mattina farà luce sui tuoi giorni. E i nostri giorni insieme? Da grande, magari li conterai, uno ad uno li tatuerai sulla tua pelle e ti sembreranno davvero troppo pochi, ma saranno questi giorni e queste mie parole a fare andare in giro per la nostra Palermo te, la tua mamma e tuo fratello Gaetano e testa alta. Saranno questi pochi giorni che ti faranno dire ad alta voce, ovunque andrai: io sono Giovanni Montinaro, figlio di Antonio, che ha vissuto molto di più di tanti che continuano a vivere, facendo la cosa giusta».
Così finisce questo mio monologo, sapendo che la mia cosa giusta, in questi giorni, è stata venire a Palermo a sentire il profumo del mare e della legalità.

 

Gianpaolo Trevisi, Direttore della Scuola Allievi  Polizia di Stato Peschiera

GianPaolo Trevisi

Suggerimenti