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66° anniversario

Tragedia di Marcinelle, tra le 136 vittime c'era anche il veronese Giuseppe Corso: appello a non dimenticare

Ricorre il 66° anniversario della  tragedia Marcinelle
Ricorre il 66° anniversario della tragedia Marcinelle
Ricorre il 66° anniversario della  tragedia Marcinelle
Ricorre il 66° anniversario della tragedia Marcinelle

Il rischio è dimenticare. Un lutto italiano, e veronese, anche se lontano nel tempo. Il consigliere comunale di FdI, Massimo Mariotti interviene sulla tragedia della miniera di Marcinelle in Belgio, della quale oggi ricorre l’anniversario.

«Un autorevole settimanale italiano, pubblicato in Belgio nei primi anni del dopoguerra, riportava l’annuncio della tragedia di Marcinelle con un titolo su otto colonne laconico nella sua drammaticità: “Al Bois du Cazier tutti morti a 1035!”. Una notizia agghiacciante che provocò un brivido di terrore nell’opinione pubblica mondiale e in particolare in quella di casa nostra, visto che il numero di morti italiani era il più alto. Dei 262 minatori europei deceduti, ben 136 provenivano dall’Italia, uno di questi, Giuseppe Corso, da Verona» afferma Mariotti, che negli anni scorsi gli fece intitolare una strada nel Comune di Verona, dove ogni anno - evento previsto questa mattina a San Felice Extra alla presenza dell'assessore al Lavoro Michele Bertucco - è ricordato con una cerimonia alla presenza di autorità istituzionali e rappresentanti delle associazioni dell’Emigrazione Veneta. 

«Il 23 giugno 1946 l’Italia firmava un accordo bilaterale scandaloso con il Belgio che prevedeva l’invio settimanale di duemila operai in cambio di duecento chili di carbone per ogni giornata lavorativa di ciascun minatore italiano. Con l’accordo veniva sancita una tacita “deportazione economica”, un baratto ignobile siglato da governi del tempo, messo sotto accusa dieci anni dopo dalle vittime di Marcinelle che gridavano vendetta perché, in Belgio, non si contavano ormai i morti italiani caduti nelle miniere», prosegue Mariotti. «Sono stati in tutto 867. Una cifra emblema di uno stillicidio di sofferenza per i nostri emigranti, continuato per decenni, sulla pelle delle loro famiglie in Italia, senza che nessuno nei palazzi romani si scomponesse».

A Marcinelle, l’onorevole Mirko Tremaglia dichiarò in uno dei tanti pellegrinaggi effettuati in silenzio: «Così è finito il sogno di chi, piangendo, lasciava la terra per cercare, nel durissimo lavoro, la soluzione di chi in Patria non trovava occupazione». «La miniera maledetta del Bois du Cazier di Marcinelle rimane come monito per un futuro più giusto di quello che milioni di italiani hanno dovuto conoscere e subire negli anni passati», osserva Mariotti. «L’8 agosto deve essere un momento di riflessione per tutti, per porre fine ad ogni forma di vergognoso sfruttamento e di sottomissione, nel rispetto assoluto delle leggi, della giustizia sociale e della politica dei diritti negati». 

IL RICORDO DI ZAIA. «Quando parliamo di Marcinelle non possiamo dimenticare che i minatori in Belgio erano manodopera inviata in cambio di quintali di carbone per l’Italia: praticamente uomini barattati con materie prime, sulla base di precisi accordi. Quel giorno del 1956 il Veneto pagò quello scambio con cinque caduti. Li ricordiamo con affetto e riconoscenza perché sono il simbolo di un Veneto che, contrariamente a quello che qualcuno vuole far credere con scopi politici, ha conosciuto la povertà e il sacrificio e non è insensibile alle difficoltà altrui».

Nell’anniversario della tragedia mineraria di Bois du Cazier a Marcinelle, divenuto giornata dedicata al lavoro italiano nel mondo, il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ricorda così i corregionali che, insieme ad altri 136 italiani, persero la vita:

  • Giuseppe Corso da Montorio Veronese,
  • Dino Dalla Vecchia da Sedico,
  • Giuseppe Polese da Cimadolmo,
  • Mario Piccin da Codognè,
  • Guerrino Casanova da Montebelluna.

«Erano lavoratori seri ed impegnati - aggiunge - che affrontarono l’impossibile per garantire dignità alle loro famiglie. Come altre migliaia di Veneti, si fecero conoscere e rispettare perché nei paesi dove giunsero non andarono a bighellonare o riempire le carceri. Lavorarono duramente, portando benessere e sviluppo nel paese che li ospitava e in quello dove avevano lasciato affetti e radici».

«Marcinelle è un simbolo che ci impone di tenere viva la memoria su questa tragedia - conclude Zaia -. Un monito a non dimenticare tutta la storia della nostra emigrazione e, sulla strada di quello che è già un nostro preciso impegno, a garantire sempre maggior sicurezza nei luoghi di lavoro affinché nessuno debba più rischiare la vita nell’assicurare una vita dignitosa alla sua famiglia».

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