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IRPINIA 1980

Toni, a 11 anni sepolto vivo dal sisma. Dopo 42 anni l'abbraccio con i suoi «angeli» veronesi

Per tre giorni l'undicenne rimase sotto le macerie, la squadra sentì la richiesta d’aiuto
La squadra dei vigili del fuoco in pensione. Toni è il terzo da sinistra in prima fila con il maglione blu
La squadra dei vigili del fuoco in pensione. Toni è il terzo da sinistra in prima fila con il maglione blu
La squadra dei vigili del fuoco in pensione. Toni è il terzo da sinistra in prima fila con il maglione blu
La squadra dei vigili del fuoco in pensione. Toni è il terzo da sinistra in prima fila con il maglione blu

Ritrovarsi 42 anni dopo. Riabbracciare quei vigili del fuoco che ti avevano estratto dalle macerie della palazzina crollata per il terremoto dell’Irpinia nel novembre 1980. E di fatto ti avevano fatto rinascere. Tre giorni, quello che allora era un bambino di 11 anni, era sopravvissuto là sotto. Attorno soltanto cadaveri. La porta di casa, a Lioni, in provincia di Avellino, blindata, si era appoggiata ad una parete crollata facendo una sorta di tenda alta pochi centimetri ed il bambino era rimasto là, mentre sopra aveva soltanto calcinacci, travi, mattoni.

 

Il ragazzino e i vigili del fuoco

Poi Toni, questo era il nome del ragazzino era rimasto soltanto nel cuore del vicecaporeparto Luigi Danzi, del capo squadra Giovanni Residori, dei vigili permanente Remo Poli, Giovanni Sandri, Fabrizio Sandri, dei vigili ausiliari Marco Montagna, Ettore Cacciatori, Roberto Santi, il gruppo di vigili del fuoco veronesi mandati in missione per aiutare la popolazione dell’Irpinia. Nessun contatto più. Fino alla primavera scorsa quando proprio Santi accompagna uno zio anziano al distretto sanitario per una visita medica, e dialogando con la dottoressa scopre che è originaria di Lioni, in provincia di Avellino. Ed allora il vigile racconta la storia di quel salvataggio. Ricorda che lui ed il suo gruppo erano partiti il 24 novembre con la colonna veneta per andare ad aiutare. Ricorda che vennero destinati a Lioni e che il 25 novembre 1980 andarono in via Nittoli per recuperare quelli che si supponeva fossero soltanto cadaveri. «Si tagliava il ferro con fiamma ossiacetilenica a disco, ma a sera inoltrata non si era riusciti ad effettuare alcun recupero», sta scritto nella relazione del 25 novembre. «Il giorno 26 abbiamo lavorato sempre nella stessa palazzina, ma a causa del guasto di una ruspa i lavori sono stati sospesi». Ed è stato in quel momento che i vigili del fuoco hanno sentito una flebile richiesta d’aiuto. «Un signore che assisteva alle operazioni ci disse che poteva trattarsi di suo nipote Toni, che da tre giorni era là sotto. Diedi ordine di limitare al minimo i rumori e di operare con la massima cautela».

 

La squadra veronese scava

E così la squadra veronese iniziò a scavare con martelli, scalpelli, disco da taglio, martinetto idraulico, leve ed il più delle volte con le sole mani data la difficoltà in cui si operava. «Noi continuavamo a far parlare il bambino imprigionato sotto le macerie. Lo chiamavamo e lui ci rispondeva. Ma non lo vedevamo. Dopo aver scavato per tre metri di profondità e per quasi quattro ore con grossi rischi, viste le continue scosse che si registravano di ora in ora, abbiamo estratto vivo il bambino». Tony era schizzato fuori, aveva soltanto un ematoma sulla testa, ma in via precauzionale venne portato in ospedale, era disidratato e sotto choc. «Questo momento ci ha ripagato di tutto il lavoro fatto durante la permanenza a Lioni», scrisse sempre il caposquadra Danzi. E questa è la storia che Roberto Santi, vigile del fuoco in pensione da un anno, raccontò alla dottoressa del distretto dove accompagnò uno zio per una visita medica quando scoprì che la dottoressa era di Lioni. Lei, emozionata e felice, si impegna a rintracciare Toni. Si mette in contatto con il sindaco del suo paese che a sua volta fa partire delle ricerche e Toni viene rintracciato a Milano dove si è trasferito, ma lavora in giro per il mondo. A Tony danno il numero di cellulare di Santi, ma passano mesi. Poi un giorno: «Rispondo al cellulare e dall’altra parte c’è uno che mi dice, ciao sono Toni. Io ero lontanissimo dall’idea che fosse quel Toni, e lui mi dice, mi hanno detto che ti faceva piacere sentirmi, sono quello che hai tirato fuori dalle macerie a Lioni. È stata un’emozione immensa, non riuscivo a dire più niente», dice Danzi.

 

L'incontro a Verona

Così un giorno, Toni viene a Verona, i due bevono un caffè insieme, chiacchierano, ma Tony fa fatica a ripercorrere quei giorni. Dopo una delicata insistenza, finalmente accetta di incontrare anche gli altri della squadra. A settembre c’è l’incontro. Toni arriva da Milano al comando di via Polveriera Vecchia. Ad attenderlo c’è tutta la squadra tranne Giovanni Residori che nel frattempo è deceduto, ma c’è suo figlio, vigile del fuoco a sua volta, Andrea. «All’inizio Toni non voleva neanche entrare in caserma, ci è sembrato molto timido e per lui dev’essere stato molto provante incontrarci a distanza di così tanti anni», dicono i vigili del fuoco. Hanno scattato foto insieme. Si sono messi in posa così come 42 anni fa. E al posto di Residori, suo figlio Andrea, ispettore, che quel giorno era in servizio.

 

Il racconto di Andrea

«All’epoca avevo 19 anni ed ero militare. Il terremoto in Irpinia era stata la mia prima missione. Quando tornai ero sconvolto, di notte mi alzavo, spingevo armadi, urlavo. Da quella palazzina estraemmo soltanto cadaveri, a parte Toni. Quando finalmente riuscimmo ad individuarlo mi calai in un buco da dove persino il cane da ricerca s’era rifiutato di entrare, ma mi trovai davanti ad un muro, vedevo la mano di Toni. Mi disse che stava tenendo la mano di sua zia, ma si vedeva che era la mano di una persona morta. Non appena lui vide la luce, schizzò fuori, ma poi le gambe gli cedettero per i tre giorni là sotto. È una scena che non dimenticherò per tutta la vita. Per me il ricordo è legato ad una storia a lieto fine, per questo siamo tutti grati a Toni, perchè per lui invece si tratta di dolore. Era andato a Lioni, affidato ai nonni. I genitori lavoravano in Belgio e la loro intenzione era quella di tornare al paese appena possibile, invece perdettero tutto, casa, affetti. Per loro là era rimasto soltanto dolore. Ma noi siamo orgogliosi di aver salvato quel ragazzino e la commozione di averlo incontrato ora che è un uomo ci ha ripagato del tanto lavoro, della fatica, della sofferenza, dei pericoli corsi. Anche questo fa parte del nostro essere vigili del fuoco».

Alessandra Vaccari

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