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GIALLO DI TRIESTE

Prete veronese
accusato di omicidio
Il pm: «A processo»

Don Paolo Piccoli sospettato di omicidio
Don Paolo Piccoli sospettato di omicidio
Don Paolo Piccoli sospettato di omicidio
Don Paolo Piccoli sospettato di omicidio

Già al liceo i compagni di classe lo chiamavano «Il Monsignore». Movenze e modi di fare tipicamente «curiali», fin da ragazzino: Paolo Piccoli è sempre stato attratto dalla liturgia, soprattutto quella tradizionale, dalla tonaca, dai paramenti e dagli oggetti sacri. Ma proprio quest’attrazione sarebbe il movente per l’omicidio del quale il prete veronese, 52 anni, è stato accusato. Un prete spesso al centro di polemiche, chiacchierato per le sue abitudini ma mai prima di oggi finito al centro di vicende penali.

IL GIALLO DI TRIESTE. Il 25 aprile 2014 monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, viene trovato morto ai piedi del suo letto nella Casa del clero di via Besenghi, a Trieste. L’anziano era stato strangolato: a rivelarlo gli accertamenti in obitorio, dopo che inizialmente sembrava fosse morto per cause naturali. La Procura giuliana apre un fascicolo e i Ris setacciano la foresteria. È scomparsa una catenina che monsignor Rocco portava sempre con sé: secondo gli inquirenti lui e il suo assassino si conoscevano. Da subito le indagini si concentrano sulle persone ospitate in quei giorni alla Casa del clero: erano presenti l’assistente di don Rocco e don Paolo Piccoli, prete veronese a lungo in servizio a L’Aquila, che però avrebbe poi raccontato a un giornalista che quella notte c’erano altre persone, «qui c’è sempre gente, è un continuo viavai».

LA SVOLTA E LE ACCUSE. Ma, dopo due anni, da super-testimone don Piccoli è diventato indagato: il pm Nicola Tripani ha chiesto che venga rinviato a giudizio per il reato di omicidio aggravato. Contro Piccoli ci sarebbe una serie di piccole macchie di sangue trovate sotto il corpo del sacerdote riverso senza vita sul suo letto, che combacerebbero con il dna fornito volontariamente da don Paolo. Il quale, riferisce il quotidiano di Trieste «Il Piccolo», si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca delle piccole emorragie, anche alle mani: il sangue sarebbe caduto mentre dava l’estrema unzione a monsignor Rocco. Il gip deciderà a dicembre se credergli o meno. Nei giorni precedenti all’omicidio dalla stanza dell’anziano prelato sarebbero spariti alcuni oggetti, non solo sacri: una Madonna, un veliero e un cavallo.

DAI COMUNISTI ALLA MARZOTTO. Don Piccoli è cresciuto e a ha studiato a Verona, ma da qui se ne è andato presto. Non era riuscito ad ottenere il sacerdozio nella sua città e si era spostato allora a L’Aquila, dove è stato parroco della chiesa di Santo Stefano Protomartire di Pizzoli. Dall’Abruzzo riferiscono di polemiche con i parrocchiani (andandosene avrebbe detto che «lì sono tutti comunisti»), ma dall’Arcidiocesi spiegano che «le drammatiche difficoltà post-sisma interferivano negativamente sulle sue già precarie condizioni di salute. Si pensò, di conseguenza, che don Paolo avrebbe potuto curarsi meglio vivendo in un ambiente più tranquillo e prossimo alla sua famiglia. Infatti già da tempo, proprio a causa di seri problemi di salute, era stato posto in stato di Previdenza integrativa». È stato anche cappellano della clinica San Michele di Albenga e di navi da crociera: dopo la morte di Marta Marzotto, don Piccoli ha postato su Facebook una foto che lo ritrae con l’imprenditrice a bordo della «Costa Romantica», scrivendo: «Tanto stimò la presenza del Cappellano di bordo e della Santa Messa cantata in latino (la definisti la magica liturgia di sempre !) da scriverne un ampio articolo sul settimanale Chi». Sul profilo di don Paolo poi diverse condivisioni di articoli comparsi su siti vicini al tradizionalismo cattolico.

PARLA LA CHIESA. In attesa dell’udienza di dicembre, il prelato è rientrato nella casa dei genitori in Borgo Venezia: in questo momento sono tutti in vacanza. Ieri l’arcivescovo di L’Aquila, dove don Piccoli risulta ancora incardinato, è intervenuto sulla vicenda: «Seguo con attenzione gli sviluppi della situazione», ha scritto monsignor Giuseppe Petrocchi, «e attendo con serenità le decisioni degli inquirenti. Anche in questa triste situazione, ribadisco la mia salda e motivata fiducia nella Magistratura e nelle forze dell’ordine, auspicando che la verità emerga rapidamente e nella sua interezza. Inoltre, con tutto il cuore spero che don Paolo Piccoli possa dimostrare la sua estraneità ai fatti delittuosi che gli vengono contestati. Da quanto mi risulta», continua la nota dell’Arcidiocesi», «al momento don Paolo Piccoli è solo indagato, perciò -come per ogni altro cittadino è d’obbligo che gli venga mantenuta la “presunzione di innocenza”. Non si tratta di una concessione, ma di un obbligo etico, giuridicamente fondato. Anche il Codice di Diritto Canonico prevede la custodia della “buona fama” Pertanto, è sulla base delle decisioni che verranno prese dalla Magistratura che si decideranno eventuali misure da adottare in ambito ecclesiastico, nella salvaguardia della dignità della persona e nella rigorosa applicazione delle normative canoniche. Chiedo al Signore», conclude, «la grazia di un discernimento esigente e saggio, guidato dalla retta ragione e animato dalla carità. Agli inquirenti e ai giudici dunque, va accordata leale collaborazione. Prevalga il principio “unicuique suum”: a chi ha sbagliato l’equa punizione, a chi ha agito in modo virtuoso la ricompensa che ha meritato. A ogni fedele, specie in occasione della celebrazione della “Perdonanza”, che si svolge durante il Giubileo, chiedo una costante preghiera». Il destino di don Paolo ora è nelle mani degli uomini. RI.VER.

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