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L’INDAGINE ISTAT

Pensioni, un grido d’allarme: «Non si arriva a fine mese»

A fronte dell’inflazione e del rincaro del costo della vita, sempre più anziani si trovano in difficoltà
I dati dell'Inps sulla media delle pensioni dei veronesi
I dati dell'Inps sulla media delle pensioni dei veronesi
I dati dell'Inps sulla media delle pensioni dei veronesi
I dati dell'Inps sulla media delle pensioni dei veronesi

Un «lusso» andare in pensione? Forse una volta. Oggi pare non essere più così, considerando l’assegno medio che finisce nelle tasche degli anziani veronesi a fronte delle spese necessarie per vivere, sempre più salate a causa dell’inflazione galoppante. Sulla base dei dati Istat pubblicati nel 2022 ed elaborati dallo Spi Cgil di Verona, nel Veronese per il settore privato si pagano 261.156 pensioni e l’assegno medio è di 1.026,62 euro. «Medio», appunto, perché ci sono forti disparità tra un’area e l’altra della provincia, tra un Comune e quello distante una manciata di chilometri.

Nel capoluogo si conta il numero più alto di pensioni in assoluto, 72.745 e l’importo medio mensile, 1.114,22 euro, è tra i più elevati, ma non in cima alla classifica. Al primo e al secondo posto si trovano infatti due Comuni dell’Est Veronese, Lavagno dove l’assegno medio è di 1.184,32 euro e San Martino Buon Albergo dove si raggiungono i 1.145,33 euro. Sopra la media della provincia ci sono Comuni della Valpolicella, come Negrar dove la pensione media è di 1.110,19 euro, Dolcè con 1.092,14 euro, Fumane con 1.034,44 euro e Pescantina con 1.026,65 euro, e alcuni del Garda: Affi (1.103 euro), Bardolino (1.027,54), Costermano (1.096,37). A Villafranca, secondo Comune più popoloso del Veronese, i pensionati sono 8.637 e l’assegno medio si ferma a 1.003,71 euro.

Guardando il fronte opposto della classifica, i numeri portano nella Bassa veronese: non supera gli 804 euro la pensione media a Castagnaro, si ferma a 828,23 euro a Roverchiara ed è di pochi euro più alta a Terrazzo, dove arriva a 832,9 euro. Ma non va meglio sulle altitudini più elevate della provincia: a Erbezzo i pochi pensionati che si contano, circa trecento, instascano in media 808,53 euro al mese mentre a Ferrara di Monte Baldo non superano gli 823,31 euro. 

 

 

Nel leggere e interpretare questa fotografia va fatto un inciso: i dati elaborati dallo Spi Cgil non riguardano i pensionati ma le pensioni. Questo perché in media ogni anziano è destinatario di 1,3 retribuzioni: possono essere assegni di vecchiaia (i più numerosi), d’invalidità, di reversibilità, assegni sociali e quelli per gli invalidi civili. Tuttavia questo non può bastare a sollevare la situazione complessa nella quale versano molti pensionati veronesi. Per lo più donne. Perché la disparità non si gioca solo sul terreno della geografia ma anche su quelle del genere. Le pensioni destinate agli uomini sono 117.243 con un importo medio mensile di 1.386,53 euro. Quelle riservate alle donne sono un po’ di più, 143.913 euro ma l’assegno è quasi la metà, pari cioè a 733,4 euro. Significa che fatto cento il totale del valore delle pensioni distribuite nel Veronese, solo il 39 per cento è per le donne, sebbene siano numericamente la maggioranza. Gli importi più bassi si registrano a Velo Veronese, dove le pensionate hanno un assegno mensile medio di 570 euro, San Mauro di Saline con 565 euro, Erbezzo con 582 euro. 

Questa disparità si riscontra anche a livello regionale, dove l’importo medio delle pensioni del settore privato riservate alle anziane è di 711,98 euro lordi. Al contrario, gli assegni previdenziali degli uomini ammontano a una media di 1.355,24 euro, circa il doppio. Cifre che raccontano il rischio di un allarme sociale, come già più volte sottolineato dallo Spi Cgil: «Nella nostra regione», spiega il sindacato, «contiamo circa 255 mila vedove ultra sessantacinquenni molte delle quali vivono con una pensione di reversibilità ben inferiore ai mille euro lordi. Ovviamente è necessaria una riforma complessiva che invochiamo da tempo perché questo divario pensionistico è ingiusto e intollerabile. La prima cosa che chiediamo», spiega il sindacato, «è il riconoscimento del lavoro di cura perché molte donne hanno svolto compiti e mansioni di importanza fondamentale per la famiglia e per la società ma questo sacrificio non è riconosciuto a livello previdenziale».

Francesca Lorandi

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