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giorno della memoria

Alle Seghetti «la radio della speranza» che salvò la vita a un internato

Costruita con materiali reperiti fortunosamente da un deportato, che l'ha custodita clandestinamente per tutto il tempo della prigionia. Ritrovata da un rigattiere di Cuneo, ora si trova nel Museo veronese
La radio realizzata dall'internato italiano presentata agli studenti delle Seghetti
La radio realizzata dall'internato italiano presentata agli studenti delle Seghetti
La radio realizzata dall'internato italiano presentata agli studenti delle Seghetti
La radio realizzata dall'internato italiano presentata agli studenti delle Seghetti

Era stato imprigionato a causa del suo cognome, Salomone: per i nazisti sinonimo di ebreo. E lui, appassionato di radio, realizzò da internato un singolare apparecchio con materiali semplici, come legno e una spilla. Oggi 27 gennaio, Giorno della memoria, quel rudimentale modello è stato presentato agli studenti dell'istituto Seghetti.

Un «ponte» con il resto del mondo

L'apparecchio era rudimentale, ma si poteva ascoltare in cuffia radio Londra. È costruito con materiali poverissimi: legno, una spilla da balia, la punta di una matita, una lametta da barba.Eppure ha un valore inestimabile: quello di un ponte con il resto del mondo per chi, intorno a sé, aveva l'unica prospettiva delle mura e del filo spinato di un lager nazista.

«La radio della speranza», com'è già stata ribattezzata, non è altro che una semplice radio, assolutamente unica nel suo genere: è costruita con materiali reperiti fortunosamente da un internato, che l'ha custodita clandestinamente per tutto il tempo della prigionia. Poi, con lui, è ritornata in Italia ed è sparita dalla circolazione, per riemergere giusto qualche mese fa sotto il naso di un rigattiere di Cuneo.

Il commerciante, insospettito da quest'oggetto curioso, ha contattato un esperto di radio che ci ha scritto racconta Chiantera, Curatore del Museo della radio. Il pezzo, arricchisce la collezione Museale di oltre 900 elementi. «La sua rarità consiste nell'originalità con cui è costruita»,

Museo della radio

La radio dei poveri

La radio a galena è la «radio dei poveri»: nessuna valvola per farla funzionare, nessun costoso sistema del valore di settemila lire dell'epoca, quando il sogno di molti era avere «mille lire al mese; nessuna batteria o collegamento con l'energia elettrica.Semplicemente una punta che sfrega sulla lametta metallica e, attraverso un cursore, capta una trasmissione ascoltabile solo con una cuffia.

Il segreto è il cristallo di galena, un minerale che si trova in natura da cui si estrae il piombo, che funziona come una calamita capace di attirare le onde elettromagnetiche».

Frequenze di speranza

Ma il valore di questo pezzo d'annata è anche e soprattutto un altro, come hanno compreso i ragazzi di 1A dell'istituto Seghetti ascoltando non solo la storia dello strumento, ma anche della vita che ha contribuito a salvare. Ricostruita con animo investigativo e pazienza certosina, con l'aiuto di documenti reperiti all'Archivio di Stato e del racconto del pronipote dell'internato, rintracciato attraverso gli uffici anagrafe di diversi Comuni piemontesi.

L'apparecchio che ha salvato una vita

Il costruttore della radio si chiamava Antonio Salomone, era nato nel 1914 a Cellemacra, un paesino di mille anime della montagna cuneese. Celibe, nel 1942 era partito con il reggimento artiglieria per la Russia. Qui, era stato deportato dai tedeschi, che il 4 ottobre del 1943 lo rinchiusero nel campo di concentramento di Gelsenkirchen, una succursale di Buchenwald, in Germania.

Internato per errore

Un destino crudele, quello del piemontese, rinchiuso non perché ebreo o deportato politico, ma tradito da un cognome che per i nazisti significava solamente «giudeo». Ad Antonio, però, era permesso uscire dal campo per lavorare nella fabbrica di utensili dei fratelli Dowidat, e forse proprio lì riuscì a procurarsi il materiale per costruire la radio.

Una radio con cui, di notte, nelle baracche, l'italiano e i compagni di prigionia captarono Radio Londra e, chissà, forse anche l'annuncio dello sbarco in Normandia.

Alla fine della guerra, Antonio Salomone tornò in Italia, si trasferì a Dronero, vicino a Cuneo, dove rimase serenamente fino alla morte, nel 1976. «Ma se questa “radio della speranza” potesse parlare, chissà che cosa racconterebbe... All'invenzione di Guglielmo Marconi dobbiamo tutto», conclude Chiantera, «la coesione e l'unione istantanea tra i popoli, grazie alla tecnologia wireless da lui scoperta e simbolo del terzo millennio che viviamo».

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