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Il caso

Morfina sul ciuccio, confermata la condanna all'infermiera. E ora deve rispondere anche l'ospedale

Oppiacei nel ciuccio: tre anni e sei mesi. La condanna per Federica Vecchini resta quella inflitta l’anno scorso, al termine del processo di primo grado, dal giudice Alessia Silvi.
Ma la Corte d’Appello di Venezia ha parzialmente modificato la sentenza relativamente al ruolo del responsabile civile, ovvero l’Azienda ospedaliera che, esclusa in primo grado, ora dovrà rispondere in solido con l’infermiera per quanto riguarda il risarcimento del danno che sarà riconosciuto ai genitori e ai familiari del piccolo Tommaso al quale la signora Vecchini la sera del 19 marzo 2017, mentre era ricoverato nel reparto di Terapia intensiva neonatale del Policlinico di Borgo Roma, per il pm Elvira Vitulli somministrò della morfina.


Lesioni aggravate l’accusa che residuò dopo che cadde quella per somministrazione di stupefacenti, ma l’infermiera difesa da Massimo Martini e Stefano Zanini fin dall’inizio negò di avere responsabilità per quel che accadde quella notte in reparto. Lo disse subito dopo il suo arresto, disposto dal gip Livia Magri, e continuò a ripeterlo nel corso del dibattimento. Ma a lanciare un’ombra sul suo operato fu il nome del farmaco che consigliò di somministrare al piccolo che verso mezzanotte non aveva tono muscolare, era pallido e non riusciva a sostenere il respiro. Fu a quel punto che la signora Vecchini consigliò di utilizzare il Narcan, l’antidoto, e Tommaso si riprese immediatamente.
Durante la deposizione spiegò i suoi spostamenti di quella notte, di aver tenuto in braccio il bimbo per mezz’ora per addormentarlo, era andata a bere un caffè e lo aveva riposto nel box. Era andata in laboratorio e quindi nella stanza con gli stupefacenti per scaricare tre fiale di morfina (prescritta ad un’altra piccola paziente).
Disse di averla somministrata alle 22.30, di aver buttato la fiala, di aver lasciato la siringa sul carrello e di aver fatto una telefonata di circa un’ora. Aveva spiegato che verso mezzanotte il piccolo sembrava «cotto» e riconobbe la reazione da somministrazione di oppiacei. Spiegò che aveva riconosciuto i sintomi perchè aveva lavorato in Psichiatria. Condanna confermata.

Fabiana Marcolini

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