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il caso

Don Piccoli, processo da rifare: «Negato il diritto di difendersi»

Era stato condannato a 21 anni per l'omicidio di un altro prete. Ora svolta in Cassazione: «Nessuno mi può restituire dieci anni di sacerdozio sepolto e di sguardi inquisitori»
Monsignor Piccoli, la corte d'assise d'appello conferma la condanna
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Monsignor Piccoli, la corte d'assise d'appello conferma la condanna

«Ho finalmente passato una notte serena. La prima in dieci anni, sempre con una spada di Damocle sulla testa. Certo adesso bisogna ricominciare tutto da capo. Ma in un Tribunale diverso dove sono certo mi si darà il modo di provare la mia innocenza».

Monsignor Paolo Piccoli, era stato condannato a 21 anni e mezzo di carcere per l’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, sacerdote ultranovantenne che alloggiava nella Casa del clero di Trieste nello stesso periodo in cui era convalescente don Paolo. Era il 25 aprile 2014. E Piccoli venne accusato di aver strangolato l’anziano collega.

Venerdì 17 marzo la Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, presentata dai legali Vincenzo Calderoni del Foro dell’Aquila e Andrea Vernazza del Foro di Genova. Il ricorso proposto dai due legali riguardava alcuni aspetti del processo ed in particolare, chiedeva di applicare un principio di diritto in riferimento alla prova tecnica in conformità con alcune recentissime pronunce di altre sezioni della stessa Corte di Cassazione, che ha recepito quel medesimo principio di diritto adottato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

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La motivazione

La ragione per cui il processo è da rifare sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa dell’imputato non consentendo la presenza di consulenti di parte in occasione della perizia.

Ricordiamo che non venne ammesso, come perito di parte, lo stesso direttore dell’Istituto di medicina legale professor Franco Tagliaro in aula. Tra le altre contestazioni il fatto gli accertamenti tecnici del Ris di Parma sulle tracce di sangue e la consulenza autoptica utilizzati nei processi di primo e secondo grado non sarebbero stati ammissibili poichè erano entrambi accertamenti irripetibili, ma don Piccoli non era stato avvisato e quindi non potè nominare i suoi esperti. Una serie di «incongruenze» giuridiche che la difesa aveva più volte denunciato e che sono state accolte dallo stesso procuratore generale.

«L’udienza è durata oltre un’ora ed al termine ero frastornato», ammette monsignor Piccoli, «e quando c’è stata la pronuncia, i miei avvocati e gli amici che in questi anni non hanno fatto mancare il loro supporto, me lo hanno dovuto ripete più volte cosa significasse», spiega il monsignore. «Sono stati dieci anni di sacerdozio sepolto che nessuno mi potrà mai restituire, dieci anni in cui sono stato guardato con sospetto, in cui ci sono state persone che mi hanno tolto il saluto o che fingevano di non conoscermi, dieci anni in cui ogni volta che porgevo un biglietto da visita dovevo ragionare sul farlo o meno. In questi anni ho applicato l’ insegnamento di padre Pio da Pietrelcina: «La croce, oltre che baciarla, bisogna portarla».

Il monsignore: «Confido nella giustizia»

In questi anni sono sempre stato sereno e gioioso con tutti, nel mio animo vivevo una grande amarezza, ma all’esterno non l’ho mai mostrata», e aggiunge, lui che per anni è stato ufficiale cappellano di bordo della Marina Mercantile Italiana: «In gergo marittimo si dice stucco e pittura, bella figura. A significare che lo stucco bianco esterno della livrea delle navi nasconde agli occhi di tutti la ruggine che divora lo scafo. Non posso che ringraziare i miei avvocati e la Curia di Verona e di Trieste che non mi hanno mai negato il loro appoggio. Ora confido nella giustizia e di poter dimostrare che non ho ucciso monsignor Rocco, che non avrei avuto motivo di farlo, quasi non ci conoscevamo, eravamo in due ali diverse di caseggiato. Il movente secondo l’accusa fu il furto di una collanina. Potrei aver commesso un atto simile e da uomo di Chiesa?».

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Alessandra Vaccari

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