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L'intervista alla docente di geografia

Marmolada, Pappalardo: «Quel ghiacciaio andava chiuso. I segnali premonitori c'erano»

Marmolada
Marmolada
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Già negli anni Ottanta il docente universitario di geografia andava con i suoi paletti rossi a misurare i ghiacciai e a lezione raccontava del loro continuo, costante ritiro. Allora però era un ritirarsi lento, ora la velocità è accelerata in modo esponenziale. Con tutte le conseguenze catastrofiche che abbiamo visto in Marmolada. E la professoressa Maria Laura Pappalardo, docente di Geografia, e Geografia dell'ambiente e paesaggio nella nostra università lo dice a chiare lettere: i segnali premonitori per chi conosce la zona e i ghiacciai, c'erano tutti.

Professoressa Pappalardo che lettura può dare della tragedia della Marmolada?

È una lettura complessa e articolata. Da un lato c'è l'aspetto del riscaldamento globale con l'innalzamento delle temperature e questo non lo possiamo più eludere. Dall'altro, gli escursionisti e le stesse guide alpine non sempre sono sensibili a questa situazione di emergenza in cui ci troviamo. La Natura non è matrigna né cattiva ma obiettivamente abbiamo un riscaldamento generalizzato per cui i ghiacciai alpini sono tra gli ambiti più sensibili. E pericolosi.

Come si arriva al cedimento di un seracco come accaduto in Marmolada?

Le alte temperature provocano una continua fusione del ghiaccio e l'acqua sciolta entra nei crepacci, penetra in profondità e fa da scivolo ai pezzi di ghiacciaio sovrastanti, che crollano.

Ma tutto questo non dà segnali premonitori? Ci sono guide alpine che da giorni sentivano i torrenti sotto il ghiaccio...

Certo, servirebbe un monitoraggio costante dei ghiacciai; così come siamo abituati a farlo per i vulcani, per i quali possiamo prevedere l'eruzione, così si può fare in modo molto più attenta per i ghiacciai. E visto il riscaldamento globale dobbiamo considerare che i rischi sono molto alti. Come nel periodo tardo invernale abbiamo il rischio valanghe che viene monitorato, così si deve fare per i ghiacciai. Sia in un caso che nell'altro i rialzi termici tra notte e giorno sono molto elevati e questo facilita i distacchi.

Lei ha toccato un tasto delicato: servirebbe un monitoraggio dei grandi ghiacciai. Fosse stato fatto, chi poteva pensare di chiudere la zona del ghiacciaio?

Quel ghiacciaio della Marmolada andava chiuso, perché sentire l'acqua scorrere sotto il ghiaccio è uno dei famosi segni premonitori. Se andiamo a leggere le pagine dei nostri antichi latini prima dell'eruzione del Vesuvio, già allora c'erano i segni premonitori. Ma non sapevano di avere un vulcano vicino. Noi invece sappiamo che c'è un ghiacciaio in sofferenza.

Ma facciamo finta di nulla...

In questo caso però si sa che questo evento può accadere ma sul piatto della bilancia c'è sempre il dio denaro. Il famoso film di Al Gore «Una scomoda verità» che ormai è datato, mette da una parte la Terra, dall'altra il denaro. Dipende da noi cosa vogliamo scegliere. Purtroppo il costo poi è in vite umane. Ma dobbiamo cominciare a dire basta: non può esserci il primato del denaro, del business. E come dicono giustamente le guide alpine o chi si interessa di geografia fisica, c'erano tutti i segni premonitori. È un'estate particolare, ma quanto siamo disposti a limitarci e rinunciare a un'escursione?

Dobbiamo cambiare il modo di andare in montagna?

I luoghi affollati vanno tutelati, anche in montagna. Quando l'essere umano riuscirà a comprendere che la sostenibilità è a 360 gradi: ambientale, economica e umana. Non significa museificare il mondo, ma muoversi in ambito ambientale tenendo conto delle variabili umana ed economia. La montagna è bella anche da guardare, se coi sono rischi si può anche fare altro.

Ma ormai le escursioni sono sempre più estreme...

Sì, è vero, pensiamo all'Himalaya: una volta andare in vetta era da avventurieri, ora è diventato un trekking. Ma la montagna ha sempre i suoi pericoli, che sono aumentati con il riscaldamento globale. E non consideriamo i movimenti di Madre natura. Il turista giustamente fa la sua escursione perché ha sempre fatto così, ma ora la situazione è cambiata. E non va sottovalutata o, ripeto, si paga il conto in vite umane.

Il ritiro dei ghiacciai accelera: cosa resterà dei ghiacciai alpini?

Sono tutti in grave pericolo. C'è un enorme ritiro che porta a una loro frammentazione: sembrano aumentati, ma solo perché quelli grandi si sono prosciugati e spezzettati. E più è piccolo più è soggetto a scioglimento. E al problema dello scioglimento va aggiunta la mancanza di riserva di acqua dolce.

Coprirli con i teli serve?

Certo, aiuta. Però i teli non devono essere inquinanti, altrimenti è ancora peggio..

Maurizio Battista

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