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IL REPORT

La bellezza di Verona «vale» un miliardo e mezzo, il 5% della produzione totale. «Ma bisogna fare di più»

I risultati dell’indagine di Fondazione Symbola e Unioncamere a livello nazionale: ecco come si colloca la città scaligera. La ripresa dopo il Covid
L’Arena
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LA BELLEZZA DI VERONA

«La bellezza salverà il mondo». È inevitabile il richiamo alle parole dello scrittore russo Fedor Dostoevskij nel presentare il rapporto “Io sono cultura 2022”, realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere. Lo studio, redatto in collaborazione con il Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, analizza l'andamento del sistema produttivo culturale e creativo italiano e vede Verona al quattordicesimo posto della classifica nazionale con 1,56 miliardi di valore aggiunto prodotto (pari al 5,5 per cento della produzione complessiva).

Dall'architettura al design, dalla comunicazione alla musica, dai videogiochi all'editoria, dalle arti visive al patrimonio storico e artistico: un comparto che per l'Italia vale 88,6 miliardi di euro, il 5,6 per cento del valore aggiunto nazionale, in grado di dare impulso alla crescita anche di altri settori, primo tra tutti il turismo, per oltre 252 miliardi di euro.

 

Milano in testa alla classifica


A fare da traino a livello nazionale, la grande area metropolitana di Milano, che si piazza al primo posto delle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte e con un valore aggiunto assoluto di 15 miliardi di euro. Roma è seconda per valore aggiunto (con 12,29 miliardi di euro) e quarta per occupazione, mentre Torino si colloca al terzo posto (5,41 miliardi di euro). A seguire, varie altre città di grandi e medie dimensioni, come Arezzo, Trieste, Firenze, Bologna, che sono riuscite a fare della bellezza e della cultura i tratti identitari della propria economia. A livello veneto, nel 2021 il sistema produttivo culturale e creativo ha prodotto 7,9 miliardi di euro di valore aggiunto, il 5,4 per cento della ricchezza complessivamente costruita dall'economia locale.


I numeri degli addetti


I 136mila addetti, invece, rappresentano il 5,9 per cento dell'occupazione. Valori resi possibili dalla specializzazione nei settori delle industrie creative in cui la regione trova sempre un posizionamento di prim'ordine: seconda nell’architettura, sesta nella comunicazione e nel branding, quinta nel design. Tra le prime venti realtà culturali e creative della penisola, sono ben quattro le province venete: Venezia, Padova, Vicenza e Verona, quest'ultima però solo al quattordicesimo posto, a dispetto del grande potenziale artistico e culturale scaligero.

 

«La cultura non è un lusso»

 

«Da diversi anni il rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere indaga le performance economiche dei settori della cultura e della creatività», è il commento dell'assessora comunale alla Cultura, al turismo e ai rapporti con l'Unesco Marta Ugolini. «Si tratta di una rilevante chiave di lettura, che aiuta a quantificare le ricadute derivanti dagli investimenti pubblici e privati in arte, in cultura, in bellezza e creatività e a giustificarne l’impiego. La cultura non è un lusso, ma una forza in grado di spingere la crescita della società».
Ugolini si dice lieta che Verona rientri tra le prime venti province italiane come produzione di valore aggiunto: «Al tempo stesso siamo consapevoli, come amministrazione comunale, delle potenzialità che il sistema Verona può ancora esprimere, in termini di servizi culturali, di spettacoli dal vivo, di turismo sostenibile, di produzioni manifatturiere belle e buone».

A due anni e mezzo dallo scoppio della pandemia e in piena fase di ricostruzione e ripartenza, le industrie culturali e creative, come spiega il rapporto “Io sono cultura 2022”, sono tra i settori più strategici per facilitare la ripresa economica e sociale italiana. Non solo perché fonte significativa di posti di lavoro e di grande ricchezza.

 

La cultura e la crisi

Ma anche perché sono un motore di innovazione per l’intera economia e agiscono, come già accennato, da attivatori della crescita di altri settori, dal turismo alla manifattura creative-driven. Ossia quella manifattura che ha saputo incorporare professionisti e competenze culturali e creative nei processi produttivi, traducendo la bellezza in oggetti e portando il made in Italy nel mondo. «Nel 2021 le imprese culturali e creative sono apparse ancora lontane dai numeri realizzati nel 2019, anno pre-crisi pandemica: il valore aggiunto nel biennio è infatti diminuito del 4,8 per cento, rispetto al -1,2 per cento a prezzi correnti del totale dell’economia».

È quanto sottolinea Andrea Prete, presidente di Unioncamere. «Sebbene nel 2021 si sia registrato un recupero del 3,6 per cento, questo non ha compensato le perdite del 2020. Il rilancio di questo articolato universo di aziende passa per varie strade: una rinnovata attenzione alla sostenibilità, ambientale e sociale; una dimensione sempre più digitale integrata a quella fisica, cosiddetta phygital, dei servizi; una crescente integrazione di settori, canali e contenuti».

 


«La cultura ha pagato più di altri settori la crisi, ma conferma il suo ruolo economico centrale», è il commento di Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola. «L'Italia deve essere protagonista del nuovo "Bauhaus", fortemente voluto dalla Commissione Europea che nasce per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i mondi della produzione, della scienza e anche della tecnologia»..

Manuela Trevisani

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