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L'incontro in Seminario

L'economista Giraud: «Dalla transizione ecologica uno stile di vita più umano»

Nominato tra i migliori economisti di Francia, interverrà questa sera in Seminario all'incontro «Transizione ecologica, utopia o progetto?»
L'economista francese Gaël Giraud
L'economista francese Gaël Giraud
L'economista francese Gaël Giraud
L'economista francese Gaël Giraud

Arriva a Verona il teorico della transizione ecologica, l’economista francese Gaël Giraud, fresco autore del libro "La rivoluzione dolce della transizione ecologica". Come costruire un futuro possibile (Lev).

Giraud, economista e teologo, nominato anni fa miglior economista di Francia dal quotidiano Le Monde, oggi è direttore del Centro per la giustizia ambientale della Georgetown University, docente di economia ed ecologia alla McCourt School dell’ateneo dei gesuiti di Washington e di teologia politica al Centre Sèvres di Parigi. Giraud interverrà oggi, mercoledì, alle ore 20.45 in Seminario (via Seminario 8) in un incontro promosso dall’Istituto di Scienze Religiose San Pietro martire e Libreria editrice vaticana sul tema «Transizione ecologica, utopia o progetto?». Modera Paolo Rodari, vicedirettore del Gruppo Athesis.

 

Professor Giraud, in Italia abbiamo avuto anche un ministero dedicato alla transizione ecologica, ma forse non è ancora noto a tutti il significato di questa affermazione …

Con questo termine si intendono una serie cambiamenti, individuali e sociali, che costituiscono cambio radicale dei rapporti tra persona e ambiente. A livello personale, per esempio, questo può significare minor consumo di carne come alimento - gli allevamenti bovini e suini sono tra le maggiori fonti di inquinamento - oppure usare catene alimentari «corte». Un mio amico italiano, che abita in una zona di produzione di mele in Veneto, mi ha raccontato una storia molto eloquente su questo: è andato al mercato per comprare delle mele ma se ne vendevano solo proveniente dal Trentino e dall’Alto Adige. Questo è assurdo! Le mele vengono spostate per centinaia di chilometri senza utilizzare quelle locali. Non lo trova anche lei pazzesco?

E sul fronte sociale?

Sempre per dare esempi, la transizione ecologica significa l’abbandono delle energie fossili a favore di quelle rinnovabili, come il solare, l’eolico, oppure energie poco inquinanti: a Parigi funzionano già i taxi a idrogeno. Inoltre, un forte e radicale rinnovamento termico degli edifici, o creare cittadine densamente popolate, collegate tra loro con mezzi di trasporto pubblici.

Che ruolo ha la finanza rispetto alla transizione ecologica?

La finanza potrebbe rivestire un ruolo decisivo se decidesse di sostenere la transizione ecologica, che ha un costo significativo - per la Francia, il 2 per cento del Pil e 20 miliardi di euro da parte del settore privato. Ma non è una somma così grande se la si confronta con un dato di fatto ineludibile: o realizziamo la transizione ecologica oppure dovremo sopportare rapidamente le irreversibili conseguenze climatiche a livello globale. Le banche hanno un peso considerevole perché, secondo un rapporto che ho pubblicato lo scorso anno, le 11 maggiori banche europee investono dal 95 al 110% del loro budget in fondi legati ai combustibili fossili. Ciò significa che, se davvero la politica scegliesse la strada della transizione ecologica, queste banche chiuderebbero subito: si deve dunque agire a questo livello finanziario per trovare soluzioni compatibili con la transizione ecologica.

I governi come possono sganciarsi da quello che lei chiama il “potere delle banche”?

É necessario che i governi se ne liberino se vogliamo avere un vero futuro per il nostro pianeta e le prossime generazioni. Io non sono contro le banche, esse hanno un ruolo molto importante nello sviluppo economico e possono averne uno altrettanto grande in un’economia autenticamente verde. Va evitato il green-washing, cioè quella spruzzata di verde che le banche usano per presentarsi in una luce positiva ai clienti, mentre invece non cambiano il loro approccio strategico sugli investimenti energetici. Pensate alla forza di un movimento popolare se dicesse alle banche: Toglieremo i nostri soldi dai vostri conti correnti se continuerete a finanziare le aziende produttrici di petrolio… Sarebbe una rivoluzione!

Lei è gesuita e appartiene allo stesso ordine religioso di Papa Francesco. Come mai le critiche al neoliberismo imperante trovano radici soprattutto nel mondo cattolico?

Forse perché il pensiero cattolico è veramente universale e contiene diritti individuali e doveri sociali. Oggi il mondo cattolico, e papa Francesco ne è un buon esempio, è forse quello più scevro da interessi particolari: non ha un’agenda da difendere, non ha una propria bandiera o ideologia. Può essere veramente la sentinella che mette in guardia il mondo per avvisare che una concezione troppo individualistica e senza riguardi per le persone e l’ambiente non va da nessuna parte. I cattolici possono allearsi con tantissimi uomini e donne di buona volontà, di estrazione religiosa varia oppure non religiosi ma che hanno una loro spiritualità. Penso a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, agnostico ma con una visione del rapporto tra persona e ambiente che mi è vicina.

L’emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti, ma sembra che né la politica né il mondo economico abbia preso realmente sul serio questa emergenza. Come mai?

Anzitutto, è stata condotta per anni una campagna mediatica molto aggressiva contro chiunque denunci il cambiamento climatico. Questa campagna ha penetrato una parte dell'opinione pubblica che guarda con disprezzo a coloro che, come me e altri, mettono in guardia su ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi: gli eventi climatici estremi in varie parti del mondo non sono semplici calamità naturali ma fatti ben collegati, scientificamente, al cambiamento climatico. Inoltre, spesso si può trovare un sentimento diffuso di rassegnazione, ovvero la convinzione che non si può più fare niente e ci resta solo un po’ di divertimento prima che il Titanic del mondo vada colpisse l’iceberg della distruzione climatica. Non è vero: abbiamo calcolato che se una persona fa una serie di scelte ecologiche rispettose, come consumare meno carne, scegliere energie rinnovabili invece di quelle fossili, vivere più sobriamente, può ridurre del 25% la propria impronta ecologica, ovvero il livello di inquinamento. Pensate al fatto che il 25% degli spostamenti in automobile viene fatto per una distanza inferiore ai 3 km: fare un po’ di strada a piedi riduce l'impronta ecologica e mantiene in forma, con un’incidenza sulla salute fisica dell’organismo e meno costi per la sanità. E questo è pure buono per il morale: camminando ci si ferma per strada a parlare con qualcuno, si può fare una chiacchiera con il fruttivendolo, fermarsi al bar a prendere il caffè e fare una parola con gli amici… Insomma, la transizione ecologica può suscitare uno stile di vita diverso, più umanizzante.

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