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Giovani in crisi, parla Don Mazzi

«L'adolescenza? Adesso arriva prima. La scuola va riformata»

Don Antonio Mazzi
Don Antonio Mazzi
Don Antonio Mazzi
Don Antonio Mazzi

Stiamo assistendo a un epifenomeno: quelle che vediamo accadere tra i giovani (autolesionismo, fragilità, ansie, tentativi di suicidio) sono solo le manifestazioni più evidenti di cambiamenti profondi iniziati già da tempo. Cosa sta succedendo? «L’adolescenza è cambiata. Forse non ce ne rendiamo conto ma questo era un processo in corso già prima della pandemia, la pandemia ha fatto emergere ancor di più il problema. E di fronte a questa adolescenza anticipata non sappiamo come rispondere». Un cambio di prospettiva che interessa tutti: mondo della scuola, genitori, gli stessi preti quello che sollecita don Antonio Mazzi, il prete veronese che a 93 anni è ancora in mezzo ai giovani della sua Comunità Exodus al parco Lambro di Milano: in 40 anni ha assistito alla trasformazione di intere generazioni, dal terrorismo alla droga fino ai problemi di oggi.
È meglio di allora? È peggio? Di fronte al malessere degli adolescenti, pandemia o no, don Mazzi parla come sempre in modo schietto, diretto, aperto. Non lancia accuse, non mette nessuno sul banco degli imputati: la sua preoccupazione è far capire che si deve cambiare se vogliamo essere attrezzati fronte alle sfide che i giovani ci pongono ogni giorno. Serve un cambio di passo, dice don Antonio, e in fretta. Dove, cosa e come? Lo spiega in questa intervista.
Don Mazzi, siamo di fronte a una nuova emergenza?
La situazione che viene descritta in questi giorni da L’Arena qui la viviamo tutta intera. E ci sono alcuni punti fondamentali che vanno inquadrati.
Quali?
Innanzi tutto, prendiamo atto che c’è un fortissimo anticipo dell’adolescenza. Fino a tre, quattro anni fa scoppiava a 12-14 anni, oggi l’adolescenza l’abbiamo già a 10 anni un’adolescenza anticipata. Quella che era una seconda infanzia ora è un’adolescenza, anche strana, perché è autoviolenta anzichè essere eteroviolenta, soprattutto nei primi anni. Il suicidio arriva così, come fosse un cartone animato, basta vada male un tema, un rapporto di amicizia, un compito di matematica. 
Questo cosa comporta?
Comporta che la scuola media inferiore andrebbe radicalmente cambiata.
Partendo da dove? Come?
Senza bisogno di drammatizzare, serve assolutamente preparare in modo diverso tutto il corpo docente delle medie inferiori con un biennio universitario per gli insegnanti degli adolescenti. Perché con questi ragazzini va cambiato il vocabolario. In secondo luogo, vanno cambiati completamente gli orari: non li puoi lasciare 5 ore nei banchi, non puoi penalizzare le materie che riguardano il corpo e considerare l’educazione fisica e i loro insegnanti come elementi marginali. Le palestre non possono essere chiuse, inagibili o non attrezzate. 
Non è semplice don Antonio cambiare la scuola...
Ma lo dobbiamo fare. Servono classi mobili cioè con percorsi che in una mattinata prevedano lezione in classe, ma anche biblioteca, palestra, giardino. Dobbiamo approcciare diversamente questa adolescenza precoce, non è più una seconda infanzia. Si deve parlare con loro di problemi sociali, le pareti delle classi vanno abbattute, ci vuole poco a spostarsi: per due ore si va in palestra, per un’ora biblioteca. Bisogna che il corpo abbia la precedenza sul tema in classe e le materie tradizionali.
Il corpo va tenuto in considerazione: questo spiega anche le fragilità? L’insicurezza?
Il problema delle fragilità è che la prima adolescenza, dai 10 anni in poi è pura esplosione fisica e non sono preparati. Loro stessi si trovano davanti a un mistero, perché non sono pronti. Non è un discorso sessuale, attenzione, ma il conoscersi. E questo significa non avere la padronanza di se; non è una questione di cattiveria da parte loro, ma di non aver strumenti per far fronte alla conoscenza di se. 
Questi giovani fanno fatica anche a parlare, a relazionarsi...
Perché purtroppo hanno la comodità dei telefonini, dei computer. Non voglio demonizzarli ma è una questione di comodità: invece di superare le difficoltà e andar d’accordo con gli amici, se ci sono problemi, si mette il telefonino sotto il banco e via con i messaggi. Il telefono è un aiuto a non creare relazioni. O a non superare le relazioni difficili.
Come fare in questi casi?
La punizione non serve a nulla, un insegnante o un adulto di fronte a questo atteggiamento dovrebbe intavolare una chiacchierata.
Ma c’è anche la difficoltà degli adulti ad ascoltarli...
Noi non abbiamo mai ascoltato i ragazzi. Mai. Non solo adesso. Secondo me invece proprio tra i 10 e i 14 anni dovremmo ascoltarli di più. Anzi, il verbo più giusto è osservarli. Loro non si esprimono o non sanno farlo e noi li dobbiamo capire e interpretare. L’ascolto presuppone che dall’altra parte ci sia qualcuno in grado di esprimersi; invece non è così, molte volte c’è una situazione difficile che non è riconosciuta nemmeno da chi ce l’ha. Ci vogliono grandi capacità di osservazione, oltre all’ascolto e limitare il più possibile punizioni e l’esclusione dalla scuola.
Spesso sono loro che si escludono dalla scuola...
Vuol dire che c’è stato qualche precedente. Però a noi serve una scuola agevole, dove devono andare volentieri anche i rompiscatole, i ragazzi difficili, che devono trovare insegnanti pronti, formati e preparati. 
Don Mazzi, lei ha spesso insistito sulle capacità genitoriali, dalla patente per i genitori alla figura del padre: anche i genitori non sono quelli di una volta, no?
Io dico sempre che fino a 10 anni sono figli della mamma, dai 10 ai 20 anni dovrebbero essere figli dei padri. ma i padri veri sono ancora da inventare. Il rapporto della madre con il figlio è nelle cose; bisogna far nascere invece il rapporto tra padre e figlio che non deve essere fatto di regole e punizioni, ma è un ruolo che va scoperto. La seconda nascita, quella dell’adolescenza, è compito del padre.
Scuola e genitori: manca il ruolo della Chiesa, dei preti, degli oratori: che fine hanno fatto?
Il problema non è solo la scuola, ma anche la Chiesa. Nessuno va più a giocare in oratorio perché gli oratori non ci sono. Ma dal gioco nascono le relazioni. E anche per i preti, come per gli insegnanti, serve un anno di pedagogia in più e un anno di teologia in meno; meno catechismo, più preparazione per gli adolescenti.

Maurizio Battista

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