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Parla la cugina della giovane morta in via Bassetti

Madiha «sognava di tornare in Marocco. Aveva denunciato l'ex marito»

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Madiha, la giovane morta investita vicino a Porta Vescovo
Madiha, la giovane morta investita vicino a Porta Vescovo
Madiha, la giovane morta investita vicino a Porta Vescovo
Madiha, la giovane morta investita vicino a Porta Vescovo

Madiha - la giovane morta travolta da un'auto - aveva un sogno, quello di tornare a casa sua, in Marocco, vicino a Casablanca, nella prefettura di Mers Sultan. Un pezzetto dopo l’altro stava cercando di sistemare la sua vita, dopo il naufragio del matrimonio con un connazionale residente in Italia, ma non a Verona. Era di molti anni più grande di lei. Madiha lo aveva conosciuto sui social, poi lui che viveva in Italia, era andato a casa sua, per il matrimonio, cui i genitori avevano acconsentito. Ma dopo neanche un anno che la giovane era con lui in Italia, e stiamo parlando di circa quattro anni fa, il matrimonio è saltato. E male, al punto che la giovane era stata costretta a sporgere denunce nei confronti di quell’uomo, e per lui, la magistratura aveva emesso il divieto di avvicinamento. Un provvedimento pesante che dimostra atteggiamenti violenti. Poi Madiha, una giovane molto bella e solare, era arrivata a Verona. L’unico legame «italiano», era rimasta la cugina Soukina, sua coetanea. E lei, che ieri ha raggiunto Verona da Milano. Ad accoglierla un ufficiale della polizia locale che l’ha accompagnata ed assistita nelle procedure burocratiche e negli spostamenti.

«Erano anni che non ci vedevamo, l’ultima volta è stata una videochiamata sei mesi fa. Madiha era contenta perché stava lavorando e guadagnando. Lei in realtà in Marocco aveva un diploma, o una laurea, in contabilità», dice la cugina, «ma qui non era riconosciuta, così si è adattata a fare la cameriera, guadagnava più qui come cameriera che in patria da diplomata. Gli stipendi da noi sono molto molto bassi», aggiunge la ragazza che abita a Milano. «Quando ho ricevuto la chiamata non potevo credere a quello che mi stavano dicendo. Ancora adesso non riesco a credere che possa essere successa una cosa simile. Madiha quando ci siamo sentite l’ultima volta mi ha detto che era contenta perché stava convertendo la sua patente marocchina in quella italiana e così con il tempo avrebbe potuto acquistare un’auto», racconta Soukina.

Ai ricordi si aggiungono storie di vita vissuta da bambine: «Madiha ed io siamo cresciute insieme, nate nello stesso paese, da ragazzine eravamo inseparabili. Poi il tempo scorre, io sono venuta in Italia prima, poi è arrivata anche lei con il marito, ma fin dall’inizio lei sarebbe tornata a casa. Soltanto che la famiglia non avrebbe accettato che da sposata tornasse senza il marito. E poi c’è stato il divorzio, non mi ricordo se l’ex marito vivesse a Venezia o a Bergamo. Ma il suo papà l’ha aiutata, anche durante il lock down. Erano preoccupati che non potesse lavorare e le spedivano dei soldi. Mia zia è una professoressa in Marocco, anche il padre non aveva problemi economici, purtroppo è morto un anno e mezzo fa per una grave malattia». È probabile che a breve, qui a Verona, arrivi uno dei fratelli di Madiha, sono in quattro, tre maschi e poi c’era lei. «La nostra intenzione è quella di portare la salma a casa e di celebrare il funerale in Marocco, questa è la volontà della nostra famiglia, e credo che anche Madiha avrebbe voluto così, tornare a casa sua».

 

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Alessandra Vaccari

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