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Il caso

Cane morto chiuso in auto: «È stato un black out mentale, non ci ricordavamo fosse lì»

Un esemplare di Rhodesian Ridgeback
Un esemplare di Rhodesian Ridgeback
Un esemplare di Rhodesian Ridgeback
Un esemplare di Rhodesian Ridgeback

«È stato un black out nella testa di mio marito. Non ci diamo pace per la morte del nostro cane. Era con noi da sei anni, prima ancora della nascita delle nostre figlie. È stato un cane amato e coccolato, tutti quelli che ci conoscono lo sanno. Siamo stati attaccati sui social, all’inizio non volevo neanche replicare, il nostro cane non lo riporta in vita nessuno, ma poi mi sono detta: parlo, perchè non voglio che quello che sta capitando a noi succeda ad altri, perchè quello che è capitato a noi può succedere a chiunque. Capita ai genitori di lasciare i figli in auto, a noi è successo con Argo».

A parlare è la proprietaria del cane morto per il colpo di calore lunedì, davanti alle piscine Santini. Un Rodhesian Ridgeback, lasciato in auto a 35 gradi diventati presumibilmente 50 dopo la permanenza dell’animale per oltre due ore in quell’abitacolo di morte. «Come ogni giorno, mio marito aveva fatto una passeggiata con il nostro cane fino al garage dove teniamo l’auto. Insieme erano tornati in auto. Io ho dato per scontato che il cane fosse in casa, dove avrebbe dovuto essere, invece è rimasto in auto», singhiozza la donna, «ho messo i borsoni della piscina nell’abitacolo, ma non nel bagagliaio. Sono persino tornata in casa perchè avevo dimenticato i braccioli e sentendo che c’era troppo caldo ho acceso l’aria condizionata per il cane, credendolo in casa. Poi siamo andati a prendere prima una bambina poi l’altra all’asilo, le ho messe nei seggiolini, e qui un’altra coincidenza nefasta. Non avevo passeggini da mettere nel bagagliaio.

Il cane, che pesava 60 chili non si è mai mosso, non ha mai dato segnali della sua presenza, ha continuato a dormire. Non abbiamo la rete in auto e Argo di solito si affacciava tra uno stop e l’altro, o quando saliva qualcuno. Niente. Per questo quando siamo arrivati in piscina non ci siamo accorti che c’era, che era ancora lì e abbiamo preso le bambine, siamo andati dentro». Aggiunge la donna: «Io davo per scontato che il cane fosse a casa. Mio marito non si ricordava di non averlo fatto scendere. Non abbiamo sentito l’altoparlante. È stato il fidanzato della sorella di mio marito a dirci, guardate che stanno cercando il proprietario di un’auto come la vostra. È stato a quel punto che mio marito ha iniziato ad urlare il nome del cane ed è corso all’ingresso, poi nel parcheggio, ma per Argo non c’era più niente da fare».

«Eravamo tutti disperati, ma dovevamo cercare di restare calmi per le bambine, hanno due e quattro anni, sono piccole, ma capiscono. I gestori della piscina hanno fatto defluire il pubblico da un ingresso laterale, per evitare che tutti vedessero quella scena straziante. Io sono la proprietaria del cane, io ho firmato il verbale della polizia locale. A sbagliare è stato mio marito, non lo odierò mai per questo, sono convinta che l’autopunizione che sta vivendo sia già più che sufficiente. Poteva capitare a me. A chiunque, per questo mi sono decisa a parlare. Non mi capacito anche del fatto che immagino che Argo si sia agitato in auto, ma l’allarme non è suonato. Mi domando perchè se qualcuno ha visto il cane che magari ansimava, si agitava o abbaiava non abbia chiamato le forze dell’ordine o non abbia rotto i vetri», piange la donna, «è un appello che faccio. Se vedete un animale nelle stesse condizioni del nostro, non esitate, rompete i vetri, fatelo uscire, fate entrare aria». E conclude: «Rispondere per quello che abbiamo fatto, in qualità di proprietaria del cane non mi spaventa. Sono pronta a pagare tutte le conseguenze, è giusto così. Ma Argo non è stato abbandonato in auto, ce lo siamo dimenticati, non sapevamo che ci fosse. Non lo avremmo mai lasciato morire così, non ce lo perdoneremo mai. Alle nostre bimbe che lo cercavano, abbiamo detto che è morto, ma non in che modo»..

Alessandra Vaccari

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