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la testimonianza

«Ti riempiamo di botte»: 14enne bullizzato costretto ad abbandonare la scuola

Una mamma racconta il dramma vissuto da suo figlio. Prima una terza media di vessazioni, poi finalmente la scuola giusta. Ma con l’arrivo di due ragazzi che lo avevano perseguitato, il nuovo incubo: «Lui costretto a scegliere tra il suo benessere e lo studio, quei ragazzi violenti ancora là indisturbati»
Il bullismo è una piaga diffusissima tra gli adolescenti
Il bullismo è una piaga diffusissima tra gli adolescenti
Il bullismo è una piaga diffusissima tra gli adolescenti
Il bullismo è una piaga diffusissima tra gli adolescenti

I bulli che si accaniscono su di lui vanno a scuola e lui, la vittima, è costretto a non frequentarla più. Per proteggersi. Per mettere fine alla violenza che si protrae da anni e non gli dà tregua. Per fermare gli incubi che non lo fanno dormire di notte.

È la storia di Andrea (nome di fantasia), 14 anni, al primo anno di una scuola professionale. L’aveva scelta con cura e faceva proprio al caso suo, tant’è che nel primo quadrimestre ha raggiunto la media dell’otto e mezzo. Ma da gennaio Andrea non ci va più, a scuola. Perché nello stesso istituto sono arrivati due coetanei che aveva imparato a conoscere, purtroppo, già in terza media.

Due bulli che lo avevano preso di mira insieme ad altri, tutti membri di una baby gang. Prepotenti. Aggressivi. E capaci di tutto, dalle minacce alle botte.

L’incubo che torna

Sperava di essersene liberato, una volta uscito dalle medie. E invece due di loro se li è ritrovati di nuovo davanti. Come la più brutta delle sorprese. Senza possibilità alcuna di evitarli, a scuola e sul bus. Non ce l’ha fatta più, Andrea, a essere deriso, maltrattato e a sentirsi dire «Un giorno o l’altro ti riempiamo di botte». Sapendo che, avendolo già fatto, ne erano capaci.

Sapendo quanto fanno male quelle botte, nel corpo e nell’anima. E così un giorno ha detto chiaro e tondo ai genitori che in quella scuola e su quel bus non ci avrebbe più messo piede. Risultato: chi subisce è costretto pure ad andarsene, a mollare gli studi. Proprio quello che, secondo il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, non deve accadere. Ma accade. Ad Andrea, che vive in un paese della provincia e va a scuola in città da quando era piccolo. E a molti altri.

«Mio figlio ha dovuto scegliere suo malgrado tra il suo benessere e lo studio, invece quei ragazzi violenti sono ancora là indisturbati», racconta la mamma. «Del resto, non poteva più andare avanti. Era terrorizzato, non dormiva. Era sempre nervoso e mi rispondeva male, non lo aveva mai fatto prima. Si chiudeva in camera e non mi raccontava più nulla».

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Il futuro

«Ora stiamo valutando», continua, «di iscriverlo per settembre in un altro istituto che gli possa piacere, che sia nelle sue corde, ma soprattutto in cui possa sentirsi al sicuro. Non è possibile che un ragazzo sia angosciato alla sola idea di uscire di casa per andare a scuola. Per andare là dove dovrebbe essere capito e protetto».

Da mesi Andrea viene seguito da un professionista, che lo sta aiutando ad affrontare le paure generate dalle violenze sopportate. Sta provando a praticare alcuni sport, a stare meno da solo. Ma la strada è in salita, per lui.

«I primi due anni delle medie ci siamo salvati solo grazie al Covid, per le restrizioni che gli hanno garantito un po’ di protezione in più», spiega la mamma. «Ma in terza media è iniziato un incubo, per mio figlio, che è sempre stato timido e riservato».

Durante quel lungo anno Andrea è diventato il bersaglio di cinque bulli della banda giovanile. Tanti, contro uno solo. E tosti. Ha subito ogni genere di offesa verbale, per il carattere o l’abbigliamento. «Lo hanno sbeffeggiato, chiamato gay, deriso», continua la mamma. È stato preso a calci e pugni nello stomaco, nei bagni delle medie, fino a fargli mancare il respiro. «Se non era per un professore che ha visto ed è intervenuto, non so come sarebbe finita».

È stato anche pedinato all’uscita da scuola, lungo il tragitto verso l’abitazione dei nonni. Senza contare dispetti e vessazioni giornalieri: occhiali da vista sottratti e rotti, cellulare fatto sparire e gettato a terra, gel disinfettante spalmato su tutta la faccia con la forza. E ancora insulti. E ancora violenza.

Di giorno Andrea era in preda al panico. Di notte sono arrivati gli incubi. «E pensare che molte delle violenze subite da mio figlio sono state definite, da dirigenti scolastici o insegnanti, ragazzate o scherzi riusciti male. Una cosa indegna», continua la mamma.

L’appello

Finita la terza media, Andrea ha vissuto come una liberazione la fine di quel percorso e l’inizio in un nuovo istituto. Qui ha passato tranquillo i primi due mesi dell’anno scolastico. Ma poi ha ritrovato due dei suoi oppressori ed è sprofondato nel terrore. Di nuovo.

«I genitori dei ragazzi bullizzati parlino: facciano conoscere le loro storie, dicano quello che siamo costretti a sopportare, raccontino come ci si senta soli e impotenti», invoca la mamma. «Facciamolo per i nostri figli e per tutti i ragazzi futuri, perché non ci siano più vittime di bullismo costrette a soccombere. Noi ci siamo sentiti inascoltati tante volte, nelle scuole, quando abbiamo cercato aiuto. E non lo auguriamo a nessuno».

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Camilla Madinelli

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