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LA TESTIMONIANZA

Baby gang, il padre di uno dei ragazzi arrestati: «Giusto punirli, ma non vanno massacrati»

Un gruppo di ragazzi in un quartiere della città in una foto d'archivio
Un gruppo di ragazzi in un quartiere della città in una foto d'archivio
Baby gang, le indagini

«Non è vero che sono ragazzini allo sbando. Io mio figlio l'ho sempre seguito. Quando l'hanno arrestato, due anni fa, lo abbiamo fortemente rimproverato. E non solo io. Anche i suoi fratelli lo hanno sgridato». A parlare è il padre di uno dei giovani finiti in carcere per le rapine ai due rider nel 2020, dopo che il giudice ha puntato il dito contro le famiglie («non li controllano»). All'epoca il figlio era minorenne. «Ha sbagliato ed è giusto che paghi. Ma c'è modo e modo di trattare le persone. Se le chiamano “baby gang” un motivo c'è: si tratta ancora di ragazzini. È giusto punirli, ma non vanno massacrati, altrimenti non si raddrizzano più».

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Arrestato due volte Ciò che non si spiega, il padre, è perché il figlio sia stato nuovamente arrestato martedì. «Per quei fatti mio figlio ha già pagato: ha trascorso sei mesi agli arresti domiciliari e in quel periodo è stato esemplare. La polizia veniva spesso di notte a controllare e non c'è mai stato alcun tipo di problema. Poi ha fatto altri sei-sette mesi di lavori di pubblica utilità, prestando servizio in un'associazione di ippoterapia». Il figlio ha finito un mesetto fa il suo percorso e ora era pronto a riprendere in mano la sua vita e ripartire. «Lunedì avrebbe avuto un colloquio per un lavoro e, invece, l'hanno arrestato di nuovo e portato in carcere. Ok, ha sbagliato, ma ha anche già pagato. Perché deve tornare in carcere? Questo non aiuta i giovani ad andare avanti».

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In Italia da 33 anni Questo padre preferisce non rivelare la propria identità per tutelare il figlio, ma in realtà il suo nome è noto in città. Originario del Marocco, è in Italia da 33 anni e non ha mai avuto alcun tipo di problema con la giustizia. «Sono conosciuto a livello di istituzioni veronesi, dalla Questura alla Prefettura, al Comune», spiega. «Lavoro come autotrasportatore, ma da anni sono attivo nel mondo dell'associazionismo. La mia porta è sempre aperta. Ho sempre cercato di essere d'aiuto a tutti, italiani e stranieri, poi mio figlio è stato arrestato e ho deciso quindi di dare le dimissioni». La sua posizione è chiara. «La giustizia sta facendo il suo corso e io sono dell'idea che le istituzioni vadano rispettate», osserva, dicendosi dispiaciuto, però, per come questi giovani sono stati dipinti e soprattutto per quanto affermato sulle famiglie. «Questi ragazzi sono sempre controllati. Ovviamente la sera non si possono tenere in casa, siamo in estate, c'è caldo. Ma siamo sempre stati abbastanza tranquilli, perché non se ne andavano in giro: erano al parco (Parco San Giacomo di Borgo Roma, ndr), a pochi metri da casa. E in tutti questi anni, a parte qualche raro episodio, al parco non è mai successo nulla di grave. È un luogo tranquillo», prosegue l’uomo.

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Attaccati al telefonino «Sicuramente la tecnologia non ha aiutato. Questi ragazzi sono sempre attaccati al telefonino: è una grande rovina per tutti, anche per loro», e aggiunge: «Ovviamente l'ho rimproverato quando ho saputo cos'era successo. Il mio portafogli è sempre aperto per lui, non ha bisogno di nulla, quindi non capivo il perché del suo comportamento. Ma è mio figlio, è parte di me. Ora continua a piangere e non capisce, dopo due anni e dopo essere stato agli arresti domiciliari, perché sia finito in carcere, a Bologna, lontano da casa». Il padre del ragazzo ci tiene a lanciare anche un messaggio ai politici che, in questi giorni, si stanno esprimendo su quanto accaduto. «Vi prego, moderate il linguaggio», chiede, da padre. «Non continuate a buttare fango su questi ragazzi, che hanno bisogno di essere aiutati. Io non appartengo a nessun partito politico. Sono d'accordo con quanto affermato dal sindaco Tommasi e per questo gli ho chiesto un incontro. Lo faccio per i ragazzi. C'è una generazione che va aiutata, a prescindere dalle origini. Sono figli di questa Verona e vanno aiutati».

Manuela Trevisani

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