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dopo i casi registrati sul garda

Allarme anche in città, l'aviaria miete vittime tra i «cocai»

Numerosi gli esemplari morti lungo la sponda in lungadige Galtarossa. Il Comune sta per lanciare una campagna informativa per i cittadini
Carcasse di gabbiani nell'Adige di fronte alla questura
Carcasse di gabbiani nell'Adige di fronte alla questura
Carcasse di gabbiani nell'Adige di fronte alla questura
Carcasse di gabbiani nell'Adige di fronte alla questura

Cresce il numero di gabbiani rimasti vittima del virus dell’aviaria. Nel fine settimana ne sono stati avvistati oltre una decina, morti, nelle acque dell’Adige e alcuni persino sull’asfalto di lungadige Galtarossa, schiacciati dalle auto all’altezza della Questura.

Si tratta dei cocai, i gabbiani comuni, piccoli e gentili, che spesso si vedono appollaiati sui fili e sui pali della luce proprio in lungadige Galtarossa, oltre che in altre zone sempre lungo l’Adige.

Già nei giorni scorsi l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie di Legnaro, nel Padovano, aveva lanciato l’allarme. Perché l’influenza aviaria può costituire un pericolo anche per altri animali, in particolare i mammiferi.

In alcuni Paesi europei ci sono già stati casi di contagio di animali a quattro zampe. Il Comune sta tenendo monitorata la situazione. «Il nostro regolamento di tutela degli animali riguarda soprattutto quelli da affezione, ma ovviamente non possiamo trascurare quanto sta accadendo», spiega Giuseppe Rea, consigliere per la tutela degli animali a Verona. «Peraltro, stiamo lavorando per aggiornare questo regolamento, in modo da includere anche la fauna selvatica che vive sul nostro territorio».

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La diffusione dell’influenza aviaria non è passata inosservata. «Sicuramente è un problema che si sta diffondendo e va quindi affrontato, perché non riguarda solamente gli animali che si trovano negli allevamenti», prosegue Rea. «Innanzitutto, ci mobiliteremo per avviare una campagna informativa, affinché i cittadini conoscano i rischi legati a questo virus e si tengano lontano da eventuali carcasse che si possono trovare sugli argini».

Non solo. «Inoltre», prosegue Rea, «daremo indicazione ad Amia o ad altri organi competenti di pulire le sponde e rimuovere queste carcasse, sia che si trovino sugli argini, sia che finiscano sul lungadige, in modo da evitare il più possibile il contagio con altri animali».

Il virus dell'influenza aviaria

Il virus in circolazione fa parte del gruppo di quello che fino a qualche settimane fa colpiva gli animali presenti negli allevamenti avicoli: si tratta di un agente ad alta patogenicità, definito con la sigla H5N1.

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Finora sono stati scoperti centinaia di virus appartenenti allo stesso ceppo con piccole variazioni l'uno dall'altro, di cui almeno una trentina in Italia: quello che è stato trovato ora nei gabbiani appartiene ad un gruppo genetico identificato come 2344B. Un agente patogeno, che ha dimostrato di poter causare un’elevata mortalità.

Fino alla scorsa settimana erano state recuperate le carcasse di un centinaio di gabbiani in tutta Italia, con una concentrazione particolare nelle province di Verona, che risultava il territorio più colpito, oltre che di Trento e Brescia. Uccelli morti a causa del virus erano stati ritrovati anche nel Rodigino e in alcune aree dell’Emilia Romagna. Ma la situazione sembrava sotto controllo.

Nelle ultime ore però, a giudicare dalle numerose carcasse avvistate in Adige e in particolare su lungadige Galtarossa, non è da escludere che il virus si sia ulteriormente diffuso. Non resta che attendere gli ultimi dati disponibili, che verranno raccolti oggi, 6 marzo, dal centro di referenza italiano ed europeo per l'influenza aviaria, che ha sede proprio all'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie di Legnaro.

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Manuela Trevisani

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