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La nostra inchiesta

Acqua negata
in ospedale
Nuove testimonianze

Un piccolo paziente del reparto di Oncologia pediatrica
Un piccolo paziente del reparto di Oncologia pediatrica
Un piccolo paziente del reparto di Oncologia pediatrica
Un piccolo paziente del reparto di Oncologia pediatrica

Mezzo litro a pasto, non di più. Di acqua, s’intende, fornita gratuitamente sotto forma di bottiglietta sigillata negli ospedali dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata. In quello di Bussolengo, almeno fino all’altro ieri, invece, la direttiva era la fornitura zero. A confermarlo, dopo aver letto i servizi comparsi ieri su L’Arena, è un’ex paziente veronese di 36 anni, che l’anno scorso ha partorito il suo bambino all’ospedale di Borgo Trento. Sua madre, invece, è stata invece ricoverata quest’anno, a maggio, a Bussolengo, per un intervento di colecistectomia, che poi non è stato nemmeno effettuato per altri problemi della signora.

 

«Mia madre è dovuta ricorrere più volte all’ospedale negli ultimi anni, per una grave malattia del sangue», racconta la trentaseienne. «Ma l’esperienza più infelice è stata all’ospedale Orlandi di Bussolengo. Lì c’è la regola, o c’era fino a poco tempo fa vista la presa di posizione del direttore generale Girardi, che i pazienti o bevono l’acqua del rubinetto o se la fanno portare da casa o se la comprano ai distributori automatici. Penso alle persone sole, che non hanno parenti, e che si devono arrangiare. Poco male, si penserà, ma mi sembra che in una regione dove si parla tanto di eccellenze nel campo della Sanità non fornire ai malati un paio di bottigliette d’acqua al giorno non sia un bel segnale. Capisco la lotta agli sprechi ma mi pare che i risparmi vadano fatto in un altro modo».

 

In Ostetricia, conferma la testimone, «almeno due bottigliette al giorno le davano, e così pure in Ematologia, a Borgo Roma, dove mia mamma ha passato un periodo per il trapianto del midollo osseo». La giovane donna ha provato a bere l’acqua del rubinetto dell’ospedale, l’anno scorso, a Borgo Trento. «Vi assicuro che è imbevibile perchè sa tremendamente di cloro, come quella della piscina», spiega. «Sarà anche potabile ma è proprio sgradevole. Per carità uno si può anche adattare, non è la fine del mondo, ci sono problemi più gravi. Ma, a mio avviso, un po’ di servizio in più ai pazienti, un po’ d’attenzione alle loro esigenze, renderebbe più concreto quello slogan, sentito tante volte, sulla centralità del paziente e l’umanizzazione delle cure».

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