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Scuole, stop a panini e pasti da casa

Nelle mense scolastiche non potranno più essere consumati pasti portati da casa
Nelle mense scolastiche non potranno più essere consumati pasti portati da casa
Nelle mense scolastiche non potranno più essere consumati pasti portati da casa
Nelle mense scolastiche non potranno più essere consumati pasti portati da casa

Molto più di un piatto di pasta al pomodoro. Il momento del pranzo in mensa insieme ai compagni è a tutti gli effetti compreso nel «tempo scuola, perché anche il pasto condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui esso è parte, di educazione all’alimentazione sana». Questo è quanto stabilito dalla Corte suprema di Cassazione, Sezione Unite Civili, nella sentenza depositata lo scorso martedì che mette la parola fine alla prassi del panino o della gamella preparata dai genitori in alternativa al rancio della mensa. Da settembre, dunque, anche nelle scuole veronesi di ogni ordine e grado non sarà più possibile portare il pasto da casa: un’opzione scelta invece negli ultimi anni da un numero crescente di genitori che lamenta una scarsa qualità del cibo preparato e offerto dalle mense. L’avviso è stato inserito nel portale del Comune, nella pagina della Refezione scolastica. «N.B. Mensa scolastica: divieto di portare pasti da casa », si legge online. La scritta è appena sotto alle informazioni relative alle scuole dell’infanzia e sorge il dubbio che valga dunque solo per i bimbi dai 3 ai 6 anni. La conferma che il divieto è invece effettivamente esteso anche a primarie e secondarie arriva però dall’assessore all’istruzione Stefano Bertacco. «Riguarda le scuole di ogni ordine e grado. Si tratta di una vicenda legale partita anni fa dal Piemonte. Vinta in secondo grado dal gruppo di genitori che chiedevano la possibilità del pasto autonomo a scuola per i propri figli, è stata la Cassazione a ribaltare la sentenza e, sostanzialmente, a decretare che il pranzo da casa non è più permesso», riassume l’assessore. La questione è destinata a far discutere. Non sono pochi, verosimilmente una media di oltre una decina per istituto, i bimbi che lo scorso anno non si mettevano in fila per i primi, i secondi e i contorni preparati dalle cucine scolastiche ma aprivano contenitori ermetici e termici per consumare l’alternativa casalinga. E ci sono genitori che affermano di aver già formalizzato alla scuola la decisione di non avvalersi della mensa anche l’anno scolastico al via a settembre, senza aver ricevuto cenni di dissenso o contrordini. «Ci aspettiamo alcune reazioni da parte dei genitori che negli anni scorsi avevano optato per il pranzo da casa. Tuttavia, si tratta di una decisione che non è nostra ma arriva dall’alto e alla quale ci stiamo semplicemente adeguando», precisa Bertacco. Alla finalità educativa, «concorre quella di socializzazione che è tipica della consumazione del pasto “insieme”, cioè in comunità, condividendo i cibi forniti dalla scuola, pur nel rispetto delle esigenze individuali determinate da ragioni di salute o di religione», argomenta ancora la Cassazione. «Questa sentenza fa a botte con quella, sullo stesso argomento, emessa dal Consiglio di Stato, organo che ha la titolarità sugli atti amministrativi», entra a gamba tesa la consigliera del M5S in Comune Marta Vanzetto, da sempre molto attiva sul fronte dei servizi di refezione scolastica. «Il Comune non ha la titolarità per permettere o meno i pasti da casa: questo divieto è un’interferenza. Sono, al limite, i singoli dirigenti scolastici a decidere in autonomia come gestire la questione», aggiunge Vanzetto, che si dice già pronta a dichiarare battaglia al provvedimento. •

Ilaria Noro

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