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La vicenda surreale di una madre con tre figli

Sano ma senza
certificato: asilo
vietato a un bimbo

Persone in coda per effettuare i tamponi (Marchiori)
Persone in coda per effettuare i tamponi (Marchiori)
Persone in coda per effettuare i tamponi (Marchiori)
Persone in coda per effettuare i tamponi (Marchiori)

In epoca Covid, il rientro a scuola diventa un’odissea. Protagonista dei rocamboleschi tentativi di «ritorno a Itaca», in questo caso una scuola dell’infanzia comunale, è una famiglia veronese con tre bimbi. Giovedì, la figlia più grande che frequenta la scuola primaria non si sente bene. Lamenta raffreddore e qualche colpo di tosse, il termometro segna qualche linea di febbre sopra lo spartiacque dei 37.5. Ovvia, e comunque obbligata, la decisione di tenere la bimba a casa da scuola. Sorte che, in via precauzionale, tocca anche ai due fratelli: uno nello stesso istituto scolastico della sorella, l’altro al primo anno di scuola dell’infanzia. Pur sani e senza alcun sintomo, sono stati a stretto contatto con un potenziale infetto: la sorella con il raffreddore.

 

Dopo una trasferta fino a Legnago e un’attesa di oltre due ore per sottoporsi al test, venerdì alla bambina viene fatto il tampone. L’esito è negativo, sospetto Covid archiviato, sospiro di sollievo: si tratta di uno degli innumerevoli mali di stagione cui i bimbi sono particolarmente, e frequentemente, soggetti. Ma è ora che inizia il paradosso. Rientrata a casa, la donna contatta il pediatra per informarlo della negatività del tampone. Inviato il referto via whatsapp, in pochi minuti il medico le manda via mail il certificato per il rientro a scuola di lunedì. Ma il problema, ora, è il fratello più piccolo. In ottima forma, senza aver fatto nemmeno uno starnuto negli ultimi giorni, non può essere riammesso a scuola.

 

Se per tornare in classe dopo i due giorni di assenza precauzionale, all’alunno che frequenta la primaria è sufficiente un’autodichiarazione firmata dai genitori, per il più piccolo della scuola dell’infanzia è obbligatorio il certificato medico. Foglio che, però, il pediatra non è assolutamente intenzionato a rilasciare. «Mi ha spiegato che la normativa in questi casi non prevede il certificato medico. Io l’ho fatto presente alle maestre ma mi hanno ribadito che per loro le disposizioni sono altre e che, senza certificato, lunedì mio figlio non potrà essere accolto. E a questo punto non ho idea di quando e come potrà», racconta la donna che ha trascorso il venerdì pomeriggio cercando di sbrogliare la matassa, non riuscendoci.

 

«L’opzione tampone anche per gli altri due bimbi per provare la negatività, non è percorribile: il medico non lo prescrive a due bambini del tutto sani, a casa solo per contatto con sospetto, poi accertato negativo. Non so davvero come fare. Ho passato il pomeriggio chiamando il numero per l’assistenza Covid che mi avevano indicato come riferimento: è squillato a vuoto per ore», conclude la donna, tra l’esasperato, l’affranto e l’ironico di chi probabilmente già sapeva che quest’anno il rientro sui banchi sarebbe stato minato oltre che dal virus anche da direttive non chiare e protocolli talvolta in contrasto tra loro. Il tutto, tra l’altro, dopo una mattinata sicuramente poco agevole.

 

«In città e dintorni, il primo appuntamento disponibile per un tampone sarebbe stato mercoledì, sei giorni dopo: impossibile attendere così a lungo», racconta la mamma, lavoratrice, costretta ad una trasferta fino a Legnago. Mamma e figlia, venerdì mattina sono quindi partite per la Bassa, macinando tra andata e ritorno quasi 120 chilometri. Appuntamento alle 9.50, con raccomandazione di presentarsi almeno 10 minuti prima, la bambina è stata sottoposta al tampone che mancano pochi minuti a mezzogiorno, dopo un’attesa di oltre due ore in piedi sotto il sole. •

 

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Ilaria Noro

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