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«Rispetto e lealtà
le regole in campo
come nella vita»

Mauro Bergamasco
Mauro Bergamasco
Mauro Bergamasco
Mauro Bergamasco

Cosa insegna il rugby? «Il rispetto», risponde Mauro Bergamasco, spalle enormi sotto una cascata di riccioli e il naso storto da pugile, anzi, da rugbista. «Quello che ad occhi profani può sembrare uno sport violento è, in realtà, una grande scuola di lealtà. La violenza è aggressività svincolata da ogni regola; il rugby invece “è“ le sue regole - tantissime regole - e si gioca solo all’interno di esse».

«Naturalmente tutto questo si impara un po’ alla volta, e si continua a re-imparare ogni giorno», precisa: pure lui qualche squalifica se l’è presa. «Per questo dico che il rugby è una scuola di vita».

Mauro Bergamasco, 36 anni, fratello di Mirco e figlio di Arturo (una famiglia di campioni della palla ovale) è tra i due rugbisti al mondo ad aver partecipato a cinque World Cup. È stato due volte campione d’Italia e due di Francia. Si è aggiudicato il record di giocatore più presente di sempre nella storia del Torneo delle 4/5/6 Nazioni, ovvero una carriera lunga 5.523 giorni nell’arco di 16 edizioni.

Si è ritirato l’11 ottobre 2015 al termine dell’avventura italiana nella Coppa del Mondo.

Oggi, dopo l’addio al campo, è impegnato, tra le altre cose, nel progetto itinerante «Campus Rugby MauroBergamasco» per trasmettere i valori del rugby e dello sport ai ragazzi tra i 10 e i 15 anni.

Un modo, anche per lui, di reinventarsi, perché questo è un altro scopo del TEDx: «Le esperienze della vita passata possono nutrire quelle della vita presente e futura», spiega l’ex giocatore. «Io, che sono praticamente nato sul campo da rugby, ora mi occupo di trasmettere gli stessi valori ai giovani».

«È un’attività che mi dà molta soddisfazione, sia a livello sportivo sia educativo», continua Bergamasco. «Come diceva un mio vecchio preparatore atletico, il rugby è quasi un “decathlon“: devi saper spingere, saltare, scattare, andar per terra e rialzarti. Questa è la parte fisica».

«Poi c’è quella mentale di uno sport di squadra che, se non sai stare alle regole, se sei individualista, se non ti rapporti agli altri nel modo corretto, ti esclude dal gioco. Dentro e fuori dal campo: a fine partita, si sa, c’è il terzo tempo in cui, ammaccati e infangati, si fa festa con i compagni e i giocatori dell’altra squadra». L.CO.

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