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Tre arrestati

Non pagano la droga e vengono sequestrati e torturati dagli spacciatori

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Un'auto dei carabinieri
Un'auto dei carabinieri
Un'auto dei carabinieri
Un'auto dei carabinieri

Un sequestro in piena regola, con tanto di torture e sevizie, ai danni di due persone ree di aver ritirato un carico di 10 chili di hashish senza pagarlo. Scene da «Arancia meccanica», un comportamento criminale messo in atto da una banda di giovani indice della «pericolosità dei tre soggetti» per i quali ieri mattina il Gip Marzio Bruno Guidorizzi ha convalidato l’arresto su richiesta del pm Maria Federica Ormanni e disposto la custodia cautelare in carcere.

A Montorio, dove li hanno condotti mercoledì sera i carabinieri, restano dunque tre giovani di origine africana di 18, 21 e 26 anni, tutti e tre residenti nel Bresciano, che ieri, interrogati dal giudice e davanti al loro difensore, l’avvocato Livio Viola del foro di Brescia, sono rimasti in silenzio. A parlare per loro è però il capo di imputazione, che li vede accusati, in concorso, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, mentre ai due marocchini sono contestate anche tortura e lesioni aggravate.

 

Tutto comincia il 19 luglio in città, quando i tre africani cedono la droga, dieci chili di «erba», a un rumeno e un italiano. Due giorni dopo ad Arzignano, nel Vicentino, i due amici trovano ad attenderli, davanti al luogo di lavoro della fidanzata di uno di loro, gli africani con fare minaccioso: «Devi pagare il debito! Pensavi di fare il furbo, devi venire con noi», il grido dei tre, prima di caricarli a forza in auto e trasferirli a Verona. Il racconto di quanto accade dopo è confuso e lacunoso per timore di ritorsioni da parte delle vittime, oltre che per il tentativo di nascondere la compravendita di stupefacente, ma gli inquirenti riescono comunque a ricostruirne i contorni. Il rumeno viene rinchiuso in un appartamento di Parona. L’italiano in un residence a Santa Lucia, dove viene picchiato, frustato con una cintura e ustionato con un ferro da stiro, mentre l’amico è costretto a sentire le sue urla in vivavoce. Quindi la banda trasferisce l’italiano a Parona, lo lega e lo trattiene sotto controllo finché, da solo, non riesce a liberarsi e a denunciare i fatti, facendo scattare le indagini dei carabinieri del Nucleo Operativo Radiomobile di Verona e della Squadra Mobile.

 

Ieri il Giudice per le indagini preliminari ha riscontrato il pericolo di inquinamento delle prove e il rischio che gli indagati, una volta in libertà, si lascino andare a nuove aggressioni nei confronti delle vittime per costringerle a ritrattare. Concreto, secondo il giudice, anche il rischio di fuga dei tre (che, anche se residenti in Italia hanno tuttora familiari all’estero dove rifugiarsi). Motivi per cui, al termine dell’udienza, ha stabilito la custodia cautelare in carcere, considerando anche l’evidente inserimento dei membri della banda «in ambienti dediti allo spaccio di stupefacenti e la disponibilità di ingenti quantità». Ma le indagini continuano, innanzitutto per identificare un quarto membro della banda che si ritiene abbia partecipato ai fatti, oltre che per recuperare la droga rubata agli africani, di cui si sono perse le tracce. La certezza, infatti, è che «gli indagati», scrive nell’ordinanza il Gip Guidorizzi, «sono inseriti in un circuito criminale di più ampio spessore». .

Elisa Pasetto

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