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LAVORO E DECESSI

Morti per amianto,
il giudice assolve
tutti gli imputati

Operai al lavoro alle officine di Porta Vescovo in una foto d’epoca. Il processo era relativo alle morti causate dall’amianto
Operai al lavoro alle officine di Porta Vescovo in una foto d’epoca. Il processo era relativo alle morti causate dall’amianto
Operai al lavoro alle officine di Porta Vescovo in una foto d’epoca. Il processo era relativo alle morti causate dall’amianto
Operai al lavoro alle officine di Porta Vescovo in una foto d’epoca. Il processo era relativo alle morti causate dall’amianto

Lavoratori che si ammalarono, e morirono, per l’accusa, a causa dell’esposizione all’amianto all’interno delle Officine Ferroviarie Veronesi e Officine e fonderie Galtarossa: nessun colpevole.

Una camera di consiglio durata poco meno di un’ora al termine della quale il giudice Livia Magri ha letto il breve dispositivo della sentenza con la quale ha assolto Alberto Azzini, Renato Bighelli, Nadia Gabardi, Maria Gini, Gian Carlo Mazzini, Zeno Peretti Colò e Osvaldo Zecchinato dall’accusa di omicidio colposo (il collegio difensivo è formato dagli avvocati De Luca,Pettene, De Marzi, Bariani, Donella, Meconio, SZaghi, Iacobazzi, Avanzi, Cressoni e Massalin).

E per tutti l’addebito era di non aver adottato, ognuno per il ruolo che rivestiva all’epoca, quelle misure che secondo la particolarità del lavoro in concreto svolti, erano necessari per tutelare l’integrità fisica.

Nessun responsabile per quella che la procura ha ritenuto essere una violazione ai doveri degli amministratori di società e che si riferiva, nello specifico, alla mancata adozione di mezzi efficaci per eliminare o ridurre le polveri nocive, quelle derivanti dalla sostituzione dell’amianto utilizzato per isolare le carrozze ferroviarie.

E il giudice Magri, relativamente al decesso di due operai, Fiorenzo Morotti (carpentiere-saldatore) deceduto nel 2002 per mesiotelioma pleurico e Alberto Bicchierai (riparatore nelle officine ferroviarie fino al 2001 e morì per carcinoma polmonare dieci anni dopo), ha pronunciato l’assoluzione con la formula più ampia «perchè il fatto non sussiste», per non aver commesso il fatto invece relativamente agli altri omicidi colposi contestati.

Un processo complesso nel quale sono entrate le testimonianze di chi, all’epoca, era in servizio nelle officine di riparazione e dei professionisti che avevano ricevuto l’incarico di occuparsi della salute dei lavoratori. In quegli anni, tra il 1975 e il 1990, si era sviluppato l’aspetto legato alla medicina del lavoro, nel corso del dibattimento (la pubblica accusa era rappresentata dal procuratore aggiunto Angela Barbaglio) sono stati esaminati i libretti e le schede di alcuni lavoratori delle Officine e della Galtarossa, e un medico dello Spisal, illustrando i contenuti dei libretti, aveva spiegato che il medico aziendale non poteva obbligare i pazienti a visite specifiche. È emerso che le fasi di lavorazione erano tutte sovrapposte, e dal 1969 al 1978 l’amianto per coibentare i tubi veniva applicato quasi per intero a spruzzo. In seguito, fino al 1982, si passò alle fettucce per rivestire i fili per evitare che bruciassero e su una carrozza di 26 metri ne venivano utilizzati circa 20 chili.

Materiali stoccati in magazzino ma la lavorazione delle carrozze, seppur in diversi settori, avveniva all’interno del medesimo capannone. Fisicamente era diviso solo il taglio dei metalli mentre carpenteria e assemblaggio, l’allestimento con arredi, la verniciatura, gli impianti e la coibentazione avvenivano in due settori collegati da porte di vetro che venivano chiuse in inverno.

Testimonianze che hanno rivelato che la polvere residua veniva eliminata con le scope, «la protezione più comune era la mascherina antipolvere ma pochissimi la portavano. Gli aspiratori erano solo nel reparto verniciatura ma non nel settore in cui si applicavano gli arredi». Per queste ragioni l’accusa, sostenendo che la cancerogenità del materiale era conclamata, aveva chiesto condanne per un totale di 23 anni. E le parti civili risarcimenti per 8 milioni di euro. Assolti.F.M.

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