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Montorio, salvo il ricordo dei deportati

La palazzina Dat «La Colombara» in zona Ponte Fiorio a MontorioCarlo con i genitori FOTO CDEC
La palazzina Dat «La Colombara» in zona Ponte Fiorio a MontorioCarlo con i genitori FOTO CDEC
La palazzina Dat «La Colombara» in zona Ponte Fiorio a MontorioCarlo con i genitori FOTO CDEC
La palazzina Dat «La Colombara» in zona Ponte Fiorio a MontorioCarlo con i genitori FOTO CDEC

Quel luogo ai suoi occhi di bambino aveva più spazio per giocare e aria pulita. Non lo chiamava campo di concentramento, né sapeva che sarebbe stato il suo ultimo luogo d’infanzia. Carlo Sabatello aveva 12 anni quando, tra l’aprile e il maggio 1944, fu collocato nella zona di Montorio e ponte Florio e della palazzina militare Dat Colombara, campo di concentramento provinciale istituito per far sostare gli ebrei da deportare nei lager in convogli come quelli che da Fossoli andavano ad Auschwitz. Era contento, Carlo, di lasciare Ponte Cittadella, dove era arrivato dopo essere stato catturato a Roma nel febbraio del 1944. «Andiamo qua vicino a Verona», scrive alla madre Enrichetta Astrologo, «sono contento, è un bel posto, si sta in campagna, avrò molto più spazio per giocare e ciè molto più aria». Quel luogo, inghiottito dalla natura, è un caseggiato fatiscente del demanio con un appezzamento di proprietà della Società autostrade Brescia-Padova. Ma per la commissione ministeriale per il patrimonio culturale del Veneto ora è di interesse culturale e quindi va tutelato. La commissione firma così un sigillo a protezione di quel sito che neppure un anno fa rischiava di essere venduto dall’Agenzia del demanio. Nell’arco di un anno sono stati diversi i colpi di scena, a cominciare appunto da quello annunciato dall’Arena nel luglio 2019, pubblicando la nota dei beni che l’Agenzia del Demanio aveva messo in vendita. Tra questi c’era appunto la palazzina Dat «La Colombara», dal nome anonimo che rischiava di passare inosservata nella lista. Ma da qualche anno non passava inosservata all’associazione di promozione sociale montorioveronese.it, rappresentata da Roberto Rubele, Cristian Albrigi e Gabriele Alloro autori del volume «26 aprile 1945. Una lunga scia di sangue tra Montorio, Ferrazze e San Martino Buon Albergo», e da Antonio Speciale, che nel 2017, facendo alcune ricerche aveva trovato un primo testimone: Adriano Bianconi, oggi 89 anni, ricordava, da ragazzino, quei prigionieri fermi alla palazzina in ignara attesa di essere caricati sui treni per Auschwitz. La notizia del luglio 2019 dall’Arena è finita in Parlamento, grazie a un’interrogazione del senatore veronese Vincenzo D’Arienzo, sottoscritta anche da Liliana Segre, e seguita da quella di Loredana De Petris. Nello stesso mese, il demanio ha ritirato il bene dalla vendita. A gennaio sul luogo è stata posta una targa che spiega cosa accadde in quei luoghi. Mentre a marzo anche la soprintendenza ha avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale del sito. Ora il sigillo della commissione: «Una vittoria sì, ma in realtà è un inizio», spiega Rubele che con l’associazione ha consegnato diversi documenti alla soprintendenza per il percorso di tutela della Colombara. «Ora inizia il vero iter per un progetto di valorizzazione del luogo come sito di questa memoria veronese. Spero che già a settembre si possa parlarne». Il gruppo ha già incontrato il favore dell’associazione Figli della Shoah e ha incontrato, nei mesi scorsi, gli assessori Edi Maria Neri e Ilaria Segala, caldeggiando anche la posa della targa. «Su questo luogo le nostre ricerche sono partite prima da alcuni documenti che ci aveva consegnato il ricercatore dell’Istituto per la storia della Resistenza veronese, Olinto Domenichini. Poi abbiamo individuato il primo testimone, Bianconi, che ricordava dei prigionieri», conclude Rubele. «E man mano i documenti si sono arricchiti di lettere di ebrei passati per di lì che hanno lasciato la testimonianza del loro trasferimento dal centro di Verona a Montorio (articolo a destra, ndr). Di lì sono passati ebrei e parenti di renitenti alla leva. Tra le storie c’è quella di una donna con le sue due bimbe o di Leone Fiorentino e del piccolo Carlo Sabatello». Il bimbo ebreo che scriveva alla mamma: «Non pensare a me che io sto bene e sono sempre vicino a papà». E che non vedeva l’ora di rivedere tutti. Ma che lasciò Montorio diretto a Fossoli e da lì sul convoglio 10 che lo portò a morire ad Auschwitz. •

Maria Vittoria Adami

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