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STORIA INFINITA

Mondiali ’90 ed espropri: una causa lunga 34 anni. Dopo quattro sentenze si va in Cassazione

L’area della Spianà
L’area della Spianà
L’area della Spianà
L’area della Spianà

Una causa tra quattordici ex proprietari di fondi alla Spianà poi espropriati e il Comune di Verona pendente da ben 34 anni. Risale al 1988, infatti, l’esproprio dei 5.890 metri quadri per la realizzazione di un parcheggio legato alle opere per i Mondiali del ’90. I contrasti con il Comune sulla valutazione di quel fondo sono sorti a pochi mesi dalla «requisizione» della proprietà e dopo ben quattro sentenze di tutti e tre i gradi di giudizio, la causa ora è di nuovo pendente davanti alla Corte di Cassazione in attesa della quinta sentenza.

 

La controversia è approdata anche sul tavolo dei giudici europei: i 14 espropriati, assistiti dall’avvocato Antonella Mascia con studio a Strasburgo, si sono rivolti alla Corte dei diritti dell’uomo per far valere le loro ragioni ed evitare il procedimento esecutivo così com’è, invece, ipotizzato dal Comune. D’altro canto, la somma contestata non è indifferente: la giunta chiede 793.951 euro (interessi legali compresi) agli ex proprietari così come stabilisce la sentenza del 13 luglio 2020 della Corte d’appello civile di Venezia. Questa decisione arriva dopo una serie di verdetti che nel giro di 34 anni ha trasformato i vincitori della causa in perdenti. Alla base di tutti questi capovolgimenti di decisioni, c’è una legislazione spesso modificata e, in grado, quindi, di stravolgere le sentenze dei giudici, chiamati a giudicare la controversia tra espropriati e Comune dal 1988 ad oggi.

 

La prima sentenza arriva dal tribunale di Verona il 9 gennaio 2001. In quella data, i giudici condannano il Comune a pagare 166.312 euro agli espropriati più gli interessi legali. Il motivo della decisione? L’amministrazione veronese doveva pagare il risarcimento dei danni per la perdita di proprietà del bene che non era avvenuto secondo le regole. Ma quali erano state le violazioni? Il decreto di esproprio era stato emesso solamente il 25 gennaio 1996, in tempi difformi da quanto stabilito dalla legge. In più, era sempre la tesi del tribunale, il suolo espropriato era stato irreversibilmente trasformato con la realizzazione dell’opera pubblica. In questo modo, il fondo era diventato un bene pubblico e, quindi, non era più restituibile al privato. Il Comune non si diede per vinto e presentò appello il 10 aprile 2002.

 

Dopo ben 9 anni, il 12 aprile 2011, la Corte d’appello respinse l’appello del Comune, aumentando il risarcimento dei danni agli espropriati, rivalutato a 441.000 euro. La svolta arrivò con la sentenza della Corte di Cassazione del 21 gennaio 2017 che accolse il ricorso di Palazzo Barbieri e rispedì gli atti ad una diversa sezione della Corte d’appello di Venezia, chiamata a rideterminare il credito del Comune. Tra gli errori rilevati dalla Corte di ultima istanza nella sentenza d’appello, c’era la valutazione del fondo che faceva riferimento al 1987 anzichè al 1993 quando finisce il periodo di occupazione legittima del fondo da parte del Comune. L’atto espropriativo venne messo in campo da Palazzo Barbieri solo tre anni dopo.

 

Il 13 luglio del 2020 si arriva all’ultimo verdetto di questa interminabile vicenda con la condanna dei ricorrenti, ovvero gli espropriati, a restituire 225.879 euro, elargiti dal Comune in occasione della prima sentenza e altri 466.297 euro arrivati nelle tasche degli espropriati con il verdetto d’appello risalente al 2011. Si tratta, comunque, di una somma inferiore rispetto a quella richiesta dal Comune che superava il milione di euro.

 

Una decisione nuovamente contestata dai quattordici espropriati che come in una partita di ping pong ributtano la pallina nel campo avversario, bussando alle porte della Cassazione. Tra i motivi del ricorso presentato dal legale degli espropriati, l’avvocato Renzo Segala, c’è anche l’inesistenza di una notifica dell’atto di citazione ai suoi clienti nel processo d’appello conclusosi due anni fa. Un altro motivo si rifà, invece, «all’ingerenza sproporzionata ed illegittima nel diritto di proprietà senza adeguato risarcimento elargito agli espropriati», riporta il ricorso. Poche settimane fa, il Comune, però, ha inviato una raccomandata alle 14 controparti, chiedendo il pagamento dei 793.951 euro come stabilito dalla Corte d’appello due anni fa. L’avvocato Segala ha chiesto la sospensione della procedura esecutiva come ipotizzato nella lettera del Comune. Ora c’è una tregua. Quanto durerà?

Giampaolo Chavan

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