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Mense, con l’obbligo arriva anche la stangata

Bambini alla mensa di una scuola elementare della provinciaIl palazzo dell’Agec, l’azienda comunale che ha in gestione le mense scolastiche
Bambini alla mensa di una scuola elementare della provinciaIl palazzo dell’Agec, l’azienda comunale che ha in gestione le mense scolastiche
Bambini alla mensa di una scuola elementare della provinciaIl palazzo dell’Agec, l’azienda comunale che ha in gestione le mense scolastiche
Bambini alla mensa di una scuola elementare della provinciaIl palazzo dell’Agec, l’azienda comunale che ha in gestione le mense scolastiche

L’ambito è culinario ma la notizia risulterà decisamente indigesta a chi ha figli in età scolare. Dal prossimo anno scolastico la refezione scolastica costerà alle famiglie circa il 20 per cento in più rispetto allo scorso anno. Gli aumenti riguardano tutte le fasce di reddito. E spaziano dalle scuole dell’infanzia, per i bimbi dai 3 ai 5 anni, alle primarie e alle scuole secondarie di primo grado, fino ai 13 anni. Dopo la sentenza della Cassazione che vieta di portare il pasto da casa, ora arriva l’aumento del pasto della mensa. Nel dettaglio, la retta mensile per le scuole dell’infanzia passa dai 34,50 euro dello scorso anno ai 42 euro per le famiglie con fascia di reddito minima (tra gli 0 e i 6.500 euro annui) per fermarsi a 102 euro mensili, a fronte degli 85 del 2018/2019 per i non residenti. Leggermente inferiore, ma comunque maggiorata rispetto al precedente anno scolastico, la quota per le fasce di reddito superiori ai 50mila euro: 90 mensili anziché 75. Non va meglio per i genitori dei bimbi che da settembre frequenteranno primarie e secondarie di primo grado. Qui, ciascun pasto costerà da un minimo di 2,30 euro (invece che 1,90) per i redditi bassi, fino a un massimo 5,70 euro per le fasce superiori ai 50mila: un euro in più rispetto all’anno precedente. Annualmente, dunque, il costo lievita di 140 euro. «I motivi sono due, principalmente. Da un lato adeguamento Istat e maggior costo di materie prime, dall’altro l’aumento della spesa per le risorse umane: abbiamo stabilizzato i precari e gli oneri sono ovviamente maggiorati», argomenta il presidente dell’Agec, la municipalizzata cui fa capo il servizio mensa comunale, Roberto Niccolai. Aumenti che il Comune non avrebbe potuto far altro che accusare. «L’adeguamento è imposto, a livello statale, dal decreto legislativo 63 del 2017. Con questa norma si stabilisce che i Comuni non possono più intervenire per calmierare gli incrementi legati ai costi ma devono trasferire agli utenti le eventuali maggiorazioni, tra cui l’aumento dei prezzi degli alimenti o del costo del lavoro», precisa l’assessore all’Istruzione Stefano Bertacco. «Il ritocco dei prezzi è stato, quindi, un passaggio inevitabile, che abbiamo fatto con la massima attenzione verso le famiglie. Gli incrementi sono stati contenuti al massimo e si tratta di una differenza che è inferiore al costo di un caffè al giorno per chi ha una dichiarazione Isee superiore ai 50mila euro o per i non residenti». Chi ci rimette di più, in effetti, sono proprio i bimbi non residenti nel Comune che frequentano però le scuole, non solo comunali ma anche statali, che trovano posto entro i perimetri del capoluogo. Per ciascun alunno la quota annuale passa da 720 euro annui, 4,80 euro a pasto, a 864 euro annui che equivalgono a poco meno di 6 euro (5,80 nel dettaglio) ogni mezzodì scolastico. Tra l’altro, per i non residenti, non si applicano nemmeno le agevolazioni previste per disabili e per le famiglie il cui secondo e terzo figlio frequentino contemporaneamente lo stesso istituto. Si tratta di scontistiche, queste sì, rimaste quasi identiche rispetto agli anni passati. Nulle per chi non presenta Isee o per chi lo ha superiore a 50mila euro, le agevolazioni sono invece scaglionate sia per reddito che per numero di figli. Le famiglie che dichiarano fino a 20mila euro hanno diritto a una decurtazione del 50 per cento per il secondo e terzo figlio e dell’80 dal quarto in poi. Salendo di fascia, le riduzioni si assottigliano ma rimangono. Impossibile, invece, detrarre almeno in parte il costo dei pasti non consumati a fronte di assenze, anche prolungate. •

Ilaria Noro

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