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L’ACCUSATORE DI GIACINO

Leardini: «In città
scelte urbanistiche
condizionate»

Alessandro Leardini con gli avvocati Nicola Avanzi e Marco Pezzotti
Alessandro Leardini con gli avvocati Nicola Avanzi e Marco Pezzotti
Alessandro Leardini con gli avvocati Nicola Avanzi e Marco Pezzotti
Alessandro Leardini con gli avvocati Nicola Avanzi e Marco Pezzotti

Varianti rallentate senza motivo, tempi allungati, dirigenti tecnici emarginati dalla propria area di competenza perchè, come ha detto un teste in aula, «la componente tecnica era molto condizionata dalla politica». Dall’ex vicesindaco Vito Giacino.

Non solo l’attività legata al settore diretto dall’allora braccio destro del sindaco negli anni in cui, come denunciò Alessandro Leardini (difesa Pezzotti-Avanzi), Giacino gli chiese denaro «per non mettersi di traverso», nel processo iniziato ieri davanti al collegio presieduto da Paola Vacca, è entrato anche il resto. Dalle anomalie riscontrate nel corso dell’indagine alle conseguenze patite da chi le effettuò, dalle competenze legali per le società di Leardini e affidate da sempre ad un solo legale, l’avvocato Togni: «Io non conosco Alessandra Lodi, non ho mai lavorato con lei e seguo l’attività di Alessandro Leardini in via esclusiva dal 2003. Ci sentiamo e vediamo ogni giorno e mi occupo dell’aspetto civilistico. L’unico legale con cui mi affianco per il settore amministrativo è l’avvocato Neri di Padova».

Un processo nel quale l’accusatore dell’ex vicesindaco è sul banco degli imputati per rispondere solo del pagamento di due fatture, quelle saldate nel marzo 2013 e relative a consulenze per la Legnaghese Real Estate e la Belea costruzioni edili. Quelle fatture che, come tutte le altre pagate nel corso degli anni, erano «tangenti mascherate». L’accusa è corruzione per induzione, ovvero l’ipotesi prevista dal 319 quater, che punisce non solo il pubblico amministratore che chiede denaro ma anche colui che lo versa.

L’URBANISTICA. Per decenni è stato il punto di riferimento dell’area Lavori pubblici, l’ingegner Luciano Ortolani ieri davanti al tribunale ha ricostruito passo passo gli anni tra il 2010 e il 2013. Partendo da una telefonata intercettata e intercorsa tra lui e l’allora assessore Corsi del marzo 2013. «Gli scrivo a Giacino perchè mi sono rotto i c... perchè se l’assessore gli dice di tenerlo fermo loro lo tengono fermo». Diretta la domanda dell’avvocato Pezzotti: «A cosa si riferiva?».

«Alla variante per il parcheggio della Passalacqua. In quel periodo anche quello di piazza Corrubbio non andava bene, dovevamo cambiare ma la variante bloccava tutto ed era di competenza di Giacino. Decideva gli interventi in attività che potevano causare problemi al Comune ma non si sbloccavano. Ed ero preoccupato perchè poi la responsabilità sarebbe caduta su di me». Per la Passalacqua da una parte c’erano pressioni affinchè si procedesse velocemente dall’altra invece i rallentamenti furono eccessivi. E nell’Ati c’era la Sarmar, una società di Leardini. «Chiedevo incontri e appuntamenti perchè era ritenuta un’opera prioritaria ma la variante allungò tutto». Il problema erano alcuni metri di proprietà del demanio e bisognava arretrare. E il «direttore d’orchestra» della Passalacqua era il vicesindaco. «L’architetto Grison non si è mai attivato, era lui il dirigente e non interveniva», ha proseguito Ortolani. «Scusi, chi decideva?», la domanda di Pezzotti.

«Giacino, per quello che riguardava l’attuazione urbanistica la priorità non era data agli uffici ma da interventi diretti del vicesindaco, faceva incontri e si consultava con frequenza». E rispondendo al pm ha aggiunto: «Dirigeva l’area tecnica, aveva un altro modo di lavorare rispetto al mio». E di questa emarginazione dal suo settore si lamentò: «Sì, lo feci con il sindaco, per un paio di mesi chiedendogli di essere rimosso, Giacino non aveva competenze tecniche, aveva conoscenza su norme. Credo abbia fatto esperienza lavorando con gli uffici ma non aveva precisa competenza tecnica». Ma decideva gli interventi.

Fabiana Marcolini

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