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Il responsabile veneto dell'Emergenza-Urgenza

L'allarme di Rosi: «Questa curva di contagi ci porta dritti verso il giallo»

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Un operatore di laboratorio con un tampone Covid da analizzare
Un operatore di laboratorio con un tampone Covid da analizzare
Un operatore di laboratorio con un tampone Covid da analizzare
Un operatore di laboratorio con un tampone Covid da analizzare

Tra due settimane il Veneto potrebbe «ingiallirsi». L’arcobaleno del Covid, nel pieno della quarta ondata, non contempla il «bianco»: quando l’infezione circola diffusamente come sta facendo, il rischio di retrocessione è concreto. Solo a Verona, nelle ultime 24 ore, ci sono stati 186 nuovi contagi e 2 morti, con 51 ricoverati di cui dieci gravi in rianimazione. Numeri raddoppiati - se non di più - da inizio mese.

La provincia scaligera è specchio dell’andamento del resto della regione «osservata speciale» dagli organi di controllo governativi, Comitato tecnico-scientifico e Istituto Superiore della Sanità: gli ultimi rilevamenti confermano che i nuovi positivi veneti solo ieri sono stati 1.603, il numero più alto dalla scorsa primavera. Nel tardo pomeriggio Zaia e colleghi hanno chiesto un incontro urgente al Governo per definire una strategia forte contro l’alzata di testa del virus, «siamo preoccupati», hanno lanciato l’Sos, «bisogna correre al riparo prima che la situazione si faccia drammatica» come in Germania e in Austria.

 

RISCHIO GIALLO

«Il cambio colore sì, è possibile», conferma il dottor Paolo Rosi, responsabile del Creu Veneto, Coordinamento regionale emergenza-urgenza. «Siamo in bilico, la situazione epidemiologica sta peggiorando e se “fuori“ i contagi continuano a salire con questo trend, è inevitabile la ricaduta sugli ospedali con lo sforamento nel giro di 15 giorni delle soglie che mandano in giallo, poi in arancione e, spero mai più, in rosso».

Rosi non vuole fare previsioni «catastrofiche ma bisogna», avverte, «che i ricoveri restino nell’ordine dei numeri attuali, se invece iniziano a lievitare, la tenuta del sistema sanitario non è più così garantita, bisognerebbe ad esempio attivare gli Ospedali Covid, chiudendo di nuovo le attività ordinarie. Mi auguro di non dover mettere mano di nuovo al piano emergenziale e, lo dico a tutti i dubbiosi, se ci salviamo è solo grazie all’azione protettiva del vaccino. Senza profilassi a quest’ora saremmo di nuovo in ginocchio».

 

I COLORI DEL COVID

Sono tre i parametri che fanno scattare il passaggio in giallo: incidenza su 100mila abitanti superiore a 50 casi, e ora in Veneto siamo a 115,3; tassi di ospedalizzazione, cioè di ricoveri di contagiati, del 10 per cento in Terapia intensiva e del 15 in area medica, e al momento siamo rispettivamente al 6,5 per cento e al 5.

«Queste sono le indicazioni in vigore», continua il capo del Suem Veneto, «ma ogni giorno potrebbero cambiare proprio perché la velocità con cui si sta diffondendo il Coronavirus impone elasticità e aggiustamenti in corsa. Ciò che mi sento di affermare è che se la curva epidemiologica continua a comportarsi come sta facendo, nel giro di due settimane abbiamo il cambio-colore: entrare in area gialla significa indossare la mascherina sempre, anche all’aperto (oltre a una minore capienza per cinema, teatri, stadi e discoteche chiuse, ndr), regola che io raccomando a prescindere dall’obbligo di legge perché è l’altra arma che abbiamo, insieme al distanziamento e all’igiene delle mani, per non contagiarci, oltre naturalmente a quella più efficace di tutte che è la vaccinazione».

E lancia l’appello: «Chi ha completato il ciclo da sei mesi proceda con la terza dose: il booster è indispensabile per affrontare questa quarta ondata e per fermare la risalita della curva».

 

SOS RIANIMAZIONI

Rosi non nasconde, snocciolando i numeri, di «essere molto arrabbiato». A luglio le terapie intensive avevano un’occupazione minima di pazienti Covid, da fine agosto c’è stata la ripresa con la brusca impennata di questo mese. L’80 per cento dei «rianimati», cioè dei malati intubati, non è vaccinato: «A finire in respirazione assistita è quasi sempre chi non ha fatto la profilassi», spiega, «e comunque i dati, perché rendano ancora di più l’idea, vanno letti non in modo assoluto: i veneti coperti dall’anti-Covid sono 4 milioni, quelli senza sono circa 700mila che da soli producono 50 volte i ricoveri dei vaccinati. Chiaro il divario, no?».

Tradotto: i pazienti intubati, vaccinati, rappresentano un caso per milione di abitanti, quelli no-vax arrivano a 50. E aggiunge: «Abbiamo dovuto aggiungere 81 nuovi letti di terapia intensiva distribuiti nelle diverse Ulss regionali per poter continuare le attività ordinarie in corsia. Il potenziamento è avvenuto in due fasi: a inizio settembre con 37 nuove postazioni, due giorni fa con altre 44. Ripeto: se continua questo boom di contagi, in 15 giorni in Veneto arriviamo a un centinaio di altri ricoverati nelle aree critiche. Ricordo che lì ci sono anche più di 350 degenti no-Covid con patologie serie. Insomma, c’è di che preoccuparsi, per questo noi medici, insieme a chi deve gestire politicamente la pandemia, ci appelliamo alla responsabilità di tutti».

Camilla Ferro

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