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Dalla A di autocertificazione alla Z di zona rossa

L'alfabeto del Covid di un mese di clausura. Cosa resterà di tutto questo?

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Tricolori e musica dai balconi
Tricolori e musica dai balconi
Tricolori e musica dai balconi
Tricolori e musica dai balconi

Tra ansie per i ricoveri e i malati, stress di chi è in prima linea, disagi per chi si trova a casa, burocrazia infinita e strategie sanitarie che cambiano, abbiamo trascorso già un mese in quarantena convivendo con il coronavirus. Era l’8 marzo quando il premier Conte annunciò il primo decreto di lockdown.

 

Settimane che ci stanno imponendo nuovi termini, nuove regole e giornate completamente diverse. Ci sono parole chiave, tormentoni, neologismi, luoghi comuni: il nuovo alfabeto al tempo del Covid19. Che cosa resterà domani di tutto questo?

 

A come autocertificazione. Le varianti non sono ancora finite. C’è chi ne fa collezione. Un incubo quando si deve uscire: ce l’hai? Va firmata? Cosa scrivo? Dove l’hai messa? Non riesco a stampare!

 

B come balconi. Dopo l’entusiasmo dei primi giorni con tarantelle e cori in tutti i condomini, l’epidemia ha preso tutti per stanchezza. Ora si aprono solo per prendere il sole primaverile. B come bilancio e bollettino: l’ora più triste della giornata, si piangono i morti, si prega per i ricoverati.

 

C come Covid19 o coronavirus ma anche come contagi. Il conto e le cifre non tornano perché tracciare tutta la popolazione è un’impresa disperata e gli asintomatici che però sono infettivi rischiano di essere uno su due. Il contagio è un incubo che ci costringe a fare la spesa con guanti e mascherine e a guardarsi in cagnesco davanti al bancone della frutta. C come «Come stai?»: era una domanda retorica fino a gennaio scorso, adesso è una domanda velata di preoccupazione e di ansia.

 

D come distanza sociale. Servirà sugli autobus, sugli aerei, nei cinema, nei teatri, al ristorante, nelle palestre e negli stadi, negli uffici. Tutte regole da riscrivere per la nuova normalità, che stravolgerà le abitudini. D come Dpcm. I decreti sono usciti a raffica con la telenovela serale del premier Conte. Il primo un mese fa, l’ultimo l’altro ieri.

 

E come edicole. Un punto fermo nella bufera, un porto sicuro al quale fare riferimento tutti i giorni, un centro di socialità e di incontro dove il coraggio e la passione degli edicolanti hanno garantito un servizio quotidiano preziosissimo per tutti.

 

F come i furbetti. Quelli che insistono ad andare in giro infrangendo i divieti nazionali, regionali e comunali. Mettono a rischio la loro vita e quella degli altri solo perché non si vogliono rassegnare a stare in casa. F come farina: introvabile, più preziosa dell’oro bianco insieme con il lievito di birra: gli scaffali sono vuoti. Tutti a fare pane, pizze e dolci e forni a pieno regime.

 

G come i giornali. Fondamentali per avere notizie sicure, affidabili, e sconfiggere l’epidemia di fake news.

 

I come immunizzati. Proprio da queste persone, che hanno contratto il virus e hanno sviluppato gli anticorpi si potrà ripartire in sicurezza sia negli ospedali che nel mondo del lavoro. I test sierologici partiranno, si spera, presto. Una ricerca fondamentale per scoprirli.

 

J come jogging. Siamo diventati un popolo di santi, poeti, navigatori e corridori. Tutti, anche i più pigri, hanno scoperto la necessità di correre per chilometri. Le indicazioni sono state molto contradditorie, le regole sono cambiate come porte girevoli, adesso sì, adesso no. Ogni Regione e Comune alla fine ha deciso per conto proprio. E alla fine si corre tra il bagno e il salotto o sulle scale del condominio.

 

L come lavoro. Questa crisi sanitaria ed economica ha messo a nudo quanto nella nostra società così avanzata il lavoro sia diventato fragile e con poche garanzie. La vera emergenza dalla quale ripartire.

 

M come mascherine. Introvabili. Poi carissime. Poi sequestrate alla dogana. Molte aziende si sono riconvertite per produrle ma l’iter per l’autorizzazione al commercio partirà nei prossimi giorni... La burocrazia le farà arrivare dopo mesi dall’inizio dell’epidemia. Un altro degli aspetti da cambiare.

 

N come nonni. I nostri anziani sono stati i più colpiti dalla mortalità di questo virus. Erano un patrimonio di saggezza, di sapienza, di sostegno per figli e nipoti. Spesso sono morti da soli, a casa o nelle case di riposo, alcuni negli ospedali, in isolamento, senza neppure il conforto dei propri cari. Senza un funerale. Abbiamo perso una parte preziosa della nostra comunità, mai dimenticarli.

 

O come ospedali. La vera prima linea di questa battaglia contro il virus. Avamposti dove medici e infermieri si sacrificano fino allo stremo e lottano con i pazienti per far vincere la vita. Sono stati potenziati, riaperti, riconvertiti: ci si è accorti che negli anni scorsi erano stati tagliati e ridotti troppo in fretta. Un punto su cui ci sarà da riflettere quando tutto sarà finito.

 

P come pipistrello dal quale pare sia tutto partito nel mercato di Wuhan. P come parrucchiere, le più ricercate in queste settimane di clausura al punto che alcune, violando le regole, vanno anche a domicilio. Quando si ripartirà per andare da parrucchiere e barbieri servirà un appuntamento con lista d’attesa.

 

Q come quarantena. Non molto diversa dagli arresti domiciliari. Difficilissima soprattutto per le famiglie con bambini piccoli da gestire tutto il giorno. E portare fuori il bimbo non si può, il cane invece sì. Mah

 

R come ripartenza. Quella che servirà dopo la pandemia. Ma che va studiata già adesso.

 

S come solidarietà. Le raccolte fondi per aiutare il mondo sanitario vanno a gonfie vele, la nostra iniziativa #aiutiAMOverona ha superato il milione e mezzo. Una grande generosità genuina. Meno genuina invece appare la solidarietà un po’ pelosa, che sa di propaganda, di certi Paesi stranieri che sono arrivati Italia con aiuti sanitari, personale medico, squadre militari e chissà cos’altro ancora per rifarsi una credibilità o chiedere dopo qualche contropartita.

 

T come tamponi e test. Pochi, introvabili. Ma soprattutto per ricchi. Non si è capito come è stato regolato l’accesso a questi cotton fioc lunghi dieci centimetri che vanno a scovare in gola e nel naso il coronavirus. Calciatori, politici e vip sono riusciti a farlo subito, anziani malati neppure implorando per settimane. Per normalizzare (forse) la situazione ci sono voluti quasi due mesi.

 

U come urgenze. Che cosa è davvero urgente adesso? Che cosa è diventato superfluo? La convivenza con il virus produrrà un profondo cambiamento anche nell’ordine delle nostre priorità.

 

V come videochiamate. Ignorate e viste con diffidenza fino a poche settimane fa sono diventate il pane quotidiano e Skype o Zoom vengono gestiti con la maestria di un giocoliere. Per non parlare dello smart working o telelavoro: questa epidemia ci ha fatto fare un salto tecnologico enorme che in tempi normali avrebbe richiesto anni.

 

Z come zone rosse. In Veneto c’è stato solo il caso di Vo’ Euganeo, ma l’intervento sanitario tempestivo ed efficace e ha fatto di questo paesino un caso di scuola a differenza di quanto avvenuto in altre regioni. La gestione della fase critica qui, va detto, è stata migliore che altrove. Z, infine, come zucconi: quelli che non vogliono capire che «Si sta a casa!».

Maurizio Battista

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