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Il senzatetto stroncato dal freddo

Kofi morto a 39 anni
su una panchina
Ecco chi era

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Kofy Boateng
Kofy Boateng
La morte di Kofy e la panchina bruciata

Le coperte ridotte in cenere. E sulla panchina devastata dal fuoco c’è un mazzo di rose gialle. Ultimo gesto di pietà per Kofi Boateng, immigrato dal Ghana, ucciso sabato sera dal freddo o da un malore nei giardinetti di Porta Vescovo. Aveva 39 anni. A fargli compagnia solo una bottiglia di vino a buon mercato per esorcizzare disperazione e solitudine. Nel servizio di Silvia Beltrami di TeleArena vediamo Kofi ancora vivo, sempre sorridente nonostante le difficoltà, pronto a ringraziare chi lo aiutava.

 

E a quella panchina che era diventata la sua casa a dispetto del divisorio “antibivacco“, qualcuno, ieri all’alba, ha dato fuoco. Un gesto incomprensibile. Gli autori del rogo che ha distrutto le ultime tracce dell’esistenza su questa terra di Kofi non hanno lasciato scritte o simboli. «Quando siamo passati l’ultima volta, poco prima delle 23 di sabato», racconta Alberto Sperotto della Ronda della Carità, «c’erano ancora la polizia e i carabinieri e le coperte di Kofi erano ancora lì. Ieri mattina la sorpresa per un atto inspiegabile. Ciò che balza agli occhi», continua Sperotto, «è la presenza di polvere bianca, segno che qualcuno ha utilizzato un estintore per spegnere l’incendio che, per la presenza di alberi nella zona, avrebbe potuto causare un disastro... Ma che significato ha bruciare il luogo dove qualche ora prima era morto un uomo?».

 

I volontari della Ronda della Carità, che portano coperte, un cibo caldo e una parola amica ai disperati della notte, Kofi lo conoscevano da tempo. Prima di “stabilirsi“ su quella panchina, il ghanese trovava rifugio dal freddo in una pensilina davanti alla stazione. «Andavamo noi da lui perché aveva problemi di deambulazione e faticava a raggiungere il punto d’incontro con gli altri senzatetto, non si spostava mai da lì e il suo caso era noto anche ai Servizi sociali del Comune». Una vita ai margini della società, quindi. Senza documenti e senza più una patria. «Parlare con lui non era facile», dicono i volontari, «sembra che in passato abbia avuto un lavoro e una casa ma con la perdita del lavoro arriva tutto il resto, soprattutto se non si ha una vita di relazioni. E anche lui, come tanti, beveva, perché l’alcolismo, quasi sempre, è una conseguenza, non una causa della vita di strada».

 

«Noi la notte», sottolinea, «con i nostri 220 volontari ci siamo sempre, anche a Capodanno, e dal primo gennaio porteremo anche le colazioni calde al mattino e se qualcuno vuole collaborare telefoni allo 045.580390. Ma se si vede qualcuno star male invitiamo a chiamare subito il 118». 

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