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Il «nuovo petrolio» fatto con gli scarti alimentari

Per incentivare un modello di economia circolare, il consumatore sarebbe favorevole all’acquisto di prodotti biologici derivanti da rifiuti alimentari? Questa la domanda al centro di uno studio coordinato da Ivan Russo e Ilenia Confente, del dipartimento di Economia aziendale dell’Università di Verona, insieme all’ateneo di Bologna e all’University of Applied sciences upper in Austria, pubblicato sulla rivista della Commissione Europea «Science for Environment Policy». Base della ricerca è stata un esperimento online su consumatori britannici, al fine di comprendere la percezione dei prodotti derivanti da bio-plastica e l’intenzione di acquisto. La ricerca è stata poi inviata a 22 mila policymakers, accademici e manager in Europa per supportare lo sviluppo di politiche basate su evidenze sperimentali. «Premessa della ricerca - ha spiegato Russo - è stata la concentrazione di rifiuti organici nella produzione annuale di 300 milioni di tonnellate di spreco alimentare, in particolare nelle città metropolitane a più alta densità urbana. Si tratta di circa 107 chili pro-capite per l’Italia di rifiuti organici recuperati che provengono da rifiuti e scarti alimentari solidi, provenienti da abitazioni, ristoranti, aziende di catering, punti vendita». L’intento dei ricercatori era chiedersi se fosse possibile far diventare lo scarto e spreco alimentare il “nuovo petrolio“ di domani per produrre prodotti in bioplastica, coerente col progetto della Commissione Europea, la «European plastic strategy», che definisce il percorso lungo cui muoversi per individuare delle soluzioni a questo urgente tema.

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