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La donna che ha partorito malata di Covid

Il papà di Maria: «Mi affido ai medici per salvare le cose più preziose che ho»

Terapia intensiva Il reparto di Borgo Trento dov’è ricoverata la mamma della piccola Maria (foto Marchiori)
Terapia intensiva Il reparto di Borgo Trento dov’è ricoverata la mamma della piccola Maria (foto Marchiori)
Terapia intensiva Il reparto di Borgo Trento dov’è ricoverata la mamma della piccola Maria (foto Marchiori)
Terapia intensiva Il reparto di Borgo Trento dov’è ricoverata la mamma della piccola Maria (foto Marchiori)

Era lì, anche ieri mattina, accanto a sua moglie intubata nel reparto di Terapia Intensiva Covid al Polo Confortini. Prima di andare da lei, è passato dalla sua Maria, ricoverata nella Rianimazione neonatale della Donna e del Bambino: è nata sabato notte a 27 settimane di gestazione con un cesareo d’urgenza, pesa un chilo, contro ogni previsione ce la sta facendo, respira da sola, niente ventilatore, «combatte come una leonessa», dicono i medici, «è eccezionale, è un caso unico, complesso, ma fin qui ci siamo arrivati. La prognosi resta riservata, la sua grave prematurità lo impone, ma è già un miracolo che Maria sia qui, e sia così». Occhi spaesati, stanchi, Luca (chiamiamolo così) era lì anche ieri mattina vicino alle sue donne. In attesa sul ballatoio che si affaccia sulla fontana del Polo Confortini, al primo piano fuori dalla porta dell’Intensiva Covid, aspettava di entrare dai medici per fare il punto che quotidianamente, da un mese ormai, riceve anche al telefono.

 

Era lì accanto alle due persone più importanti della sua vita che il virus ha provato a togliergli in un colpo solo, lasciandolo inebetito a fare i conti con quella che poteva essere una tragedia, evitata per un soffio: perdere sua figlia e sua moglie, perderle così. Niente vaccino: consigliati dal medico di famiglia avevano deciso di non farlo, «troppo pericoloso in gravidanza», sarebbe questa la giustificazione confidata da chi li conosce, una gravidanza per di più a rischio vista l’età non più giovane della donna, 45 anni, ma proprio per questo, invece, assolutamente consigliato proprio a tutela delle futura mamma e della piccola. Ci ha pensato il virus a stravolgere le loro certezze.

 

All’inizio di novembre l’infezione è entrata in casa, ha contagiato tutti, ha ucciso a 68 anni la nonna della piccola Maria, ha colpito la donna incinta di 5 mesi che, nel disperato tentativo di essere salvata dallo stesso brutale destino, è stata trasportata incosciente da Trieste a Borgo Trento, dove è assistita dall’equipe del professor Enrico Polati, direttore della Rianimazione e da quella del professor Leonardo Gottin, direttore dell’Anestesia in chirurgia cardiaca. Luca è ancora sotto choc, dice l’amico che ieri l’ha accompagnato a Borgo Trento, viene qui ogni volta che glielo permettono ad «accarezzare idealmente» la sua bambina, viene a «dire parole di incoraggiamento» alla moglie, le racconta che è andato tutto bene, che la piccola è nata, che è bellissima, che è forte, che non ha bisogno delle macchine per respirare, che ce la farà.

 

È un uomo - padre e marito - messo a dura prova dal Covid, il Covid contro cui, raccontano da Trieste, non hanno voluto immunizzarsi, rischiando di perderci la vita e di fare i conti (forse) con danni irreversibili, al momento non calcolabili. Maria è in prognosi riservata, gli effetti dell’ultimo mese di vita intrauterina con la mamma intubata «non sono al momento ipotizzabili», dicono dalla Maternità, «viviamo giorno per giorno, benedicendo i successi ma sapendo che il quadro è pesante e che la piccola, neanche settimina, non è fuori pericolo».

 

Le donne più importanti della vita di Luca sono lì, strappate alla morte con un lavoro di squadra che ha messo in campo le migliori professionalità della sanità veronese - rianimatori, anestesisti, ginecologi, ostetrici, neonatologi - una corsa contro il tempo prima per «non perdere» la mamma arrivata in fin di vita, poi per stabilizzarla e infine per prolungare di almeno un altro mese la gravidanza, in modo che Maria potesse nascere con più chance di farcela. Ed è andata così, Maria è sopravvissuta per altre quattro settimane nel grembo della donna incosciente, messa in ginocchio dalla Sars Cov-2 che le ha mangiato gli organi vitali, non solo i polmoni, facendo correre ad entrambe il rischio altissimo di morire: «La signora, e quindi il feto, ha il 70% di possibilità di non farcela», avevano detto subito i medici. La sfida, per ora, è stata vinta: Maria è nata sabato notte e, cosa incredibile, respira da sola. Il papà ieri è tornato da lei, «ha una mascherina per l’ossigeno, è piccolina ma sta bene», ha detto, «anche la mamma piano piano sta uscendo dalla zona di alto pericolo, io mi affido ai medici, a questi professionisti eccezionali che stanno facendo di tutto per salvarle: la medicina, i dottori, lascio nelle loro mani le mie donne, sono tutta la mia vita, la cosa più preziosa che ho, qui hanno le migliori cure possibili».

 

Ha gli occhi lucidi, è spaventato, «è consapevole di trovarsi di fronte al peggiore scenario possibile: l’infezione brutale che ha contratto la moglie imponeva la profilassi, l’avesse fatta non si sarebbe ridotta così», ripetono Polati e Gottin, «proprio perché in gravidanza il rischio di sviluppare malattia grave, potenzialmente mortale, è concreto. E l’ha, purtroppo, toccato con mano». Luca non ha voglia di parlare, la sua bambina e sua moglie restano in prognosi riservata. Significa che di strada per dichiararle fuori pericolo ce n’è ancora tanta da fare. Quando la donna si sveglierà, avrà tanto da raccontarle. Lei non sa che è diventata mamma. Lei non sa che c’è Maria in rianimazione ad aspettarla. Lei non sa che il virus le ha ucciso sua madre. Lei non sa niente della battaglia che la sua creatura sta combattendo.

Camilla Ferro

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